Guardia alla Frontiera | |
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Lo stemma della G.A.F.; nello spazio giallo al centro vi era il numero del settore di copertura in numeri romani | |
Descrizione generale | |
Attiva | 4 dicembre 1934 – 1943 |
Nazione | Italia |
Servizio | Regio esercito |
Tipo | Genio Artiglieria Fanteria |
Ruolo | Guardia di confine |
Dimensione | ~20.000 uomini (1939) ~50.000 uomini (1940) |
Soprannome | Vidoa |
Motto | Dei sacri confini guardia sicura |
Battaglie/guerre | Seconda guerra mondiale |
Parte di | |
Regio Esercito | |
Reparti dipendenti | |
27 settori, suddivisi in sottosettori | |
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La Guardia alla Frontiera, (G.A.F.) è stato un corpo militare del Regio Esercito, dal 1934 alla fine della seconda guerra mondiale, con il compito di difendere le frontiere dell'Italia. Venne istituito con regio decreto-legge del 28 aprile 1937, n. 833.[1][2]
La difesa dei confini dell'Italia era affidata prima degli anni '30 a Guardia di Finanza, Carabinieri e Milizia confinaria (costituita nel 1927, da una diramazione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale - MVSN).
Il 4 dicembre 1934[1] fu costituita la Guardia alla Frontiera, che comprendeva reparti di genio, artiglieria e fanteria. La Guardia alla Frontiera aveva il compito di proteggere i confini presidiando il sistema di fortificazioni del Vallo Alpino. Nello stesso anno il capo di stato maggiore dell'esercito decise di trasformare 5 reggimenti d'artiglieria d'armata in altrettanti reggimenti artiglieria G.A.F.; alla G.A.F. furono quindi affidati circa un migliaio di opere difensive del Vallo Alpino.
Nel maggio del 1937, il generale Alberto Pariani dispose la trasformazione di 5 reggimenti di artiglieria d'armata. La struttura assunse nel corso del 1938 larga autonomia e fu riconosciuta in via ufficiale il 28 aprile 1937, attraverso il regio decreto legge nº 833 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale nº 139 del 17 giugno 1937.
Alla fine del 1939, da Ventimiglia a Fiume la G.A.F. comprendeva 8 comandi, 27 settori, 7 reggimenti d'artiglieria, 20.000 uomini, 1.000 fortificazioni, 6.000 mitragliatrici, 1.000 mortai, 100 cannoni controcarro 47/32, ed un altro migliaio di altri cannoni di medio e piccolo calibro (75/27 e 149/35 Mod. 1901).
«La G.a.F. è la "scogliera" contro la quale ogni cozzo è destinato a frantumarsi»
Al 10 giugno 1940 (all'entrata in guerra dell'Italia) la G.A.F. era composta (non considerando colonie, la Libia occidentale ed orientale e l'Albania) da 23 settori, 50.000 uomini, 28 battaglioni alpini "valle", 22 battaglioni di camicie nere.
Da ogni comando d'armata della G.A.F. dipendevano settori di copertura (27 settori di copertura, dal I al XXVII, lungo la linea di confine; i settori XVIII, XIX e XX non furono mai realizzati), i quali si potevano scomporre in "sottosettori", quindi in "gruppi di capisaldi" e via via per unità sempre minori. Ogni comando di settore aveva due o più sottosettori che a loro volta avevano alle dipendenze delle opere fortificate. Queste opere erano presidiate da militari di fanteria, artiglieria, del genio. Nonostante la G.A.F. avesse natura prevalentemente statica, alle sue dipendenze furono messe anche 5 compagnie di carristi, equipaggiate con carri leggeri Fiat 3000 che nel tempo, sia per l'anzianità, sia per la mancanza di pezzi di ricambio, finirono in buona parte abbandonati nei magazzini dei settori o interrati per utilizzarli come piccole opere difensive.
Un importante episodio vide protagonista la Guardia alla Frontiera ed avvenne nella notte fra l'8 e il 9 settembre 1943 quando, subito dopo la firma dell'armistizio di Cassibile ed il messaggio al Paese da parte del Maresciallo Pietro Badoglio presso la caserma "Italia" di Tarvisio (UD), dov'erano reparti dell'XVII Settore, il col. Giovanni Jon, piemontese, fece suonare l'allarme per far rientrare tutti i soldati e, riuniti sul piazzale della caserma, spiegò loro il proclama di Badoglio concludendo con: '...ragazzi, per noi la guerra comincia adesso e, se i tedeschi verranno all'attacco noi risponderemo alle loro armi con coraggio e decisione. "Siamo le guardie alla frontiera le sentinelle avanzate della Patria e faremo il nostro dovere" , nessuno obiettò, i 300 uomini di stanza tennero testa per sei ore ai tedeschi, sostenendo un duro attacco condotto da un reggimento di 'Waffen-SS'. Alla fine degli scontri si contarono 24 morti e 48 feriti. Una lapide posta all'ingresso della stessa caserma ricorda l'evento.
Nel dopoguerra la specialità non venne riattivata. Negli anni '50 i sistemi fortificati già in utilizzo alla G.A.F. vennero in parte riattivati e migliorati in funzione delle nuove tecniche di difesa NBC (Nucleare-Batteriologica-Chimica) su approvazione e con piani e finanziamenti NATO come primo fronte di difesa del confine nordorientale considerato parte sensibile rivolgendosi in direzione dei Paesi della cortina di ferro. Dal passo di Resia in Trentino-Alto Adige al passo del Predil in Friuli-Venezia Giulia, quindi, alcune opere fortificate vennero riutilizzate e vennero costruite una serie di nuove linee difensive lungo la pianura friulana fino alla soglia di Trieste (il tratto di sistemi difensivi dal passo del Predil fino a Fiume rimasero in territorio jugoslavo a causa dello spostamento a ovest dei confini italiani sanciti dai trattati di pace di Parigi del 1947).
Dagli anni 1952 e 1953 tali sistemi vennero affidati ai "Raggruppamenti battaglioni da posizione".
Dal 1º gennaio 1957 i reparti subirono varie trasformazioni fino ad assestarsi nel 1962, a seconda dei territori di competenza, in:
Che quindi, di fatto, saranno gli eredi della G.a.F. finché si sciolsero definitivamente dal 1989 al 1992 dopo il crollo della cortina di ferro.
A capo della Guardia alla frontiera vi era il "Comando della Guardia alla Frontiera di corpo d'armata", il quale comprendeva il comandante ed il personale del comando di corpo d'armata ed aveva potere sui settori di copertura dislocati nel territorio assegnato al corpo d'armata).
I settori di copertura erano 32, così organizzati:
Ogni settore di copertura era costituito da:
Ogni sottosettore, retto da un tenente colonnello, era costituito:
Il raggruppamento di capisaldi avveniva unicamente qualora la conformazione del terreno lo avesse reso necessario e, in caso di mancanza di un tenente colonnello, il comando del sottosettore era assunto dal più alto in grado delle forze di frontiera.
La Guardia alla Frontiera era composta da unità del genio, di artiglieria e di fanteria.
Le unità della fanteria comprendevano, oltre i già menzionati capisaldi e gruppi di capisaldi, anche i centri, ossia opere fortemente protette che permettevano la sopravvivenza degli uomini al loro interno anche in caso di accerchiamento da parte del nemico per svariate settimane, gli appostamenti protetti che, a differenza dei centri, non permettevano la sopravvivenza della truppa in caso di accerchiamento, ed i nuclei campali, ossia le unità destinate al funzionamento di mitragliatrici, cannoni, mortai d'assalto collocati allo scoperto od in postazioni semplici.
Le unità dell'artiglieria comprendevano reggimenti in gruppi, "batterie sempre pronte" (S.P.), raggruppate anche a due o più in "gruppi di batterie sempre pronte" che potevano entrare in azione in qualsiasi momento, anche in tempo di pace, e depositi.
Il reparto misto del genio comprendeva al suo interno tutte quelle specialità (elettricisti, telegrafisti, fotofonisti, telefericisti, ecc.) che potevano permettere alla Guardia alla Frontiera di svolgere regolarmente tutte le attività previste.
I militari della Guardia alla Frontiera erano addestrati come se fossero alpini: ovvero con lunghe marce su sentieri montani, l'uso degli sci, arrampicate, ma soprattutto uno stile di vita essenziale, per abituare i militari a dover vivere in un'opera difensiva permanente.
Le uniformi usate dalla G.A.F. erano quelle Regio Esercito; i copricapo erano il berretto rigido con visiera ed il cappello alpino, ma quest'ultimo si differenziava da quello degli Alpini perché aveva il fregio della fanteria o dell'artiglieria o del genio, contenendo nel tondino il numero del settore di copertura espresso in numeri romani, ed avendo la nappina di lana per la truppa e metallica per ufficiali e sottufficiali ma priva della penna nera; per questo motivo nell'ambiente degli alpini la G.A.F. veniva soprannominata "la vidoa" (la vedova).
Le mostrine erano verdi ad una punta con bordo giallo per l'artiglieria o bordo amaranto per il genio.
Sulla manica sinistra della giacca veniva cucito uno scudetto metallico, o talvolta in tessuto ricamato, nel quale il numero del settore di copertura era contenuto in un cartiglio sovrapposto ad un gladio.
nappine | descrizione | reparti |
verde, bordo rosso | guardia alla frontiera (fanteria) | |
verde, bordo giallo | artiglieria della guardia alla frontiera | |
verde, bordo amaranto | genio della guardia alla frontieria |
mostrine |
fregi da cappello |
«Noi siamo la Guardia alla frontiera
siam vecchi lupi del Settore.
Abbiam posto una bandiera
ove resistere o morir
Frontiera,
frontiera!
Cosa importa se si muore,
Il nostro grido è di valore
e il nemico arresterà.
Cosa importa della neve
freddo e ghiaccio ce ne freghiamo
e se passa la tormenta
noi cantiamo tutti in cor!
Al corpo della G.A.F. è stato affibbiato il nomignolo di "Vidoa" (dal piemontese, "vedova"), in quanto il copricapo uguale a quello delle truppe alpine non era però provvisto della penna nera che contraddistingue il corpo degli alpini.