«La morte ci mieterà maturi, noi maturiamo per lei, e i nostri discendenti, che saranno ridotti a non più di un pugno di uomini sulla superficie dell'ecumene in cenere, non smetteranno di maledirci, finendo di bruciare tutto ciò che adoriamo.»
Albert Caraco (Costantinopoli, 8 luglio 1919 – Parigi, 7 settembre 1971) è stato un filosofo e scrittore uruguaiano-francese, di origine ebraico-turca e spagnola. Nelle sue opere espresse un forte nichilismo e pessimismo, sotto la forma di una prosa elegante, aulica e raffinata.
«Il mio odio per questo mondo è ciò che trovo in me più degno di stima.»
Alberto Caraco[3], successivamente detto Albert con grafia francesizzata, figlio di José Caraco ed Elisa Melly Schwarz, nacque a Istanbul l'8 luglio 1919 (benché l'anagrafe francese riporti la data del 10 luglio[3]), allora Costantinopoli capitale dell'Impero ottomano, da una ricca famiglia ebraica sefardita di lingua francese, franco-levantini installati in Turchia da quattro secoli, e trascorse un'infanzia cosmopolita tra Vienna, Praga e Berlino, conseguentemente agli spostamenti lavorativi del padre, procuratore di banca. La famiglia abbandona la Germania negli anni trenta e si stabilisce in Francia, a Parigi. Caraco frequenta il modesto Licèe Janson-de-Sailly. Desidera studiare medicina ma i genitori lo spingono verso l'École des Hautes Études Commerciales, dove si laurea in economia nel 1939. Parla già spagnolo e tedesco, e imparerà poi altre lingue, anche se la prediletta resterà la lingua madre, il francese, in cui scriverà d'ora in poi.
Prima della seconda guerra mondiale la famiglia, apolide, acquista la cittadinanza dell'Honduras e si trasferisce in Sud America, sfuggendo alle persecuzioni antisemite; si stabiliscono in Argentina e poi passando per il Brasile, in Uruguay. In questo periodo i Caraco si convertono per opportunità sociale dall'ebraismo al cattolicesimo, ma Albert si converte sinceramente e scrive poesie religiose, per poi abbandonare in seguito la fede. Caraco manterrà sempre la cittadinanza uruguaiana (non avendo chiesto la naturalizzazione, egli non aveva il passaporto francese). Nel 1941 pubblica due tragedie, Ines de Castro e I Martiri di Cordoba, edite a Rio de Janeiro, ed in seguito decide di dedicarsi principalmente alla saggistica e alla prosa filosofica.
Riceve vari premi e onorificenze per le sue opere. La famiglia ritorna a Parigi dopo il 1946, trovando un'Europa devastata, e nel 1949 il giovane Albert, che in questo periodo matura la propria visione del mondo negativa, viene premiato con il premio Edgar Poe per l'opera Le livre des combats de l'âme.[4] Questo, tuttavia, sarà l'unico riconoscimento ufficiale che egli riceverà in Francia.
Misconosciuto dalla critica e dagli editori del tempo, i numerosi libri da lui pubblicati in vita non ebbero alcuna eco, forse per la violenza delle sue provocazioni, indirizzate contro le tradizionali convinzioni politiche e religiose. Le opere di Caraco vennero pubblicate principalmente in Svizzera per le edizioni "A la Baconnière" di Neuchâtel, e presso le edizioni "L'Age d'Homme" di Losanna, successivamente all'incontro con Vladimir Dimitrijevic. Molte uscirono solo postume.
Visse in completa solitudine, perfezionando la sua formazione culturale, che si riflette nel taglio classico della sua prosa vibrante e lucida. Malinconico, misantropo e introverso, la morte della madre nel 1963 peggiorò il suo "male di vivere", spingendolo però alla scrittura di Post mortem. Con lei, frivola e mondana, misogina verso le altre donne, possessiva e gelosa nei confronti del figlio che voleva "galantuomo" e a cui instillò la propria antisessualità, ebbe sempre un morboso rapporto di amore-odio. Su di lei scrisse anche Madame mère est mort ("La signora madre è morta"), poi confluito in Post mortem e su di lei modellerà la sua visione della figura femminile.
«La mia filosofia è quella buona, anche se comporta delle asperità spaventose, e io rifiuto di ammorbidirmi, ho fatto di me un asceta e le dilettazioni morose e i soavi abbandoni li chiamo fornicazioni al vento.»
Caraco morì suicida a 52 anni, ingerendo barbiturici e al contempo impiccandosi (alcune fonti, come Franco Volpi, riportano overdose da barbiturici colpendosi poi alla gola con un'arma da taglio[5]), presumibilmente il 7 settembre del 1971, il giorno dopo la morte del padre, nell'appartamento parigino al n. 34 di rue Jean-Giraudoux (oggi non più esistente e sostituito da un palazzo moderno).[3][6][7] Tale decisione era premeditata e non frutto di una momentanea disperazione; più volte nei suoi diari Caraco aveva espresso la volontà di uccidersi («il signor padre dorme, come per imparare a morire, nella stanza a fianco, è l'ultimo legame che mi tiene attaccato a questo mondo e se un bel mattino non si svegliasse più, lo seguirei di buona grazia»)[8], e tuttavia questo gesto sarà compiuto dopo la morte dei genitori, "per cortesia".[9][10][11] I corpi furono rinvenuti l'11 settembre.[3]
«La vita è un supporto, non una ragione, la vita è necessaria, ma non è sufficiente: questa è la lezione che ci viene dai morti.»
«Noi, che non ci contentiamo di parole, acconsentiamo a scomparire e siamo lieti di acconsentire, non abbiamo scelto di nascere e ci riteniamo fortunati a non sopravvivere in nessun luogo a questa vita, che ci fu imposta più che donata, vita piena di affanni e dolori, dalle gioie discutibili o mediocri.»
Rappresentante di un "nichilismo oscuro" di tipo esistenziale, pessimista e antinatalista, imperniato sulla caducità, la tragicità, la caoticità in cui vive l'uomo moderno, Caraco descrive in toni "profetici" un mondo in piena decadenza, ove gli uomini per sopravvivere distruggono il loro pianeta e si sterminano a vicenda, fino a un futuro senza speranza. In lui sono presenti accenti anti-urbani, ambientali, simili all'ecologia profonda.[1][12]
«Io sono uno dei profeti del nostro tempo e il silenzio mi avvolge, hanno intuito che avevo qualcosa da dire, qualcosa che non volevano sapere, si sono difesi secondo i procedimenti oggi in voga, cercano di seppellirmi vivo e non riusciranno che a rendere più fanatici, un giorno, i miei sostenitori. Persevero nella strada che mi traccio, essa è ormai aperta, non vi starò per molto da solo a camminare solitario, le mie idee mancavano al mondo, e coloro che le adotteranno daranno vita a un nuovo popolo.»
Eppure proprio la decadenza diventa una mistica della salvezza:
«Sarà l'immoralità a salvare il mondo, saranno il rilassamento e la mollezza, sarà il rifiuto dei sacrifici di qualsiasi genere e l'abbandono delle virtù militanti, saranno il disprezzo per tutto ciò che giudichiamo rispettabile e il consenso alla frivolezza, sarà l'effeminamento a liberarci dall'incubo verso cui la virilità ci indirizza e da cui essa non uscirà mai, perché l'uomo è sposo della morte e la morte informa le sue azioni.»
Le religioni sono "cancri" che contribuiscono alla distruzione, assieme al consumismo e al capitalismo sfrenato:
«Gli scienziati possono pur darci l’allarme, la loro voce è quasi sempre soffocata, gli interessi della morale e del commercio hanno stretto un’alleanza indefettibile, il denaro e la spiritualità non tollerano che il movimento si arresti, i bottegai vogliono consumatori, i preti vogliono famiglie, la guerra li spaventa meno dello spopolamento: è nei bottegai e nei preti che l’ordine per la morte trova i suoi sostegni più solidi. L’umanità dovrà ricordarsi di questa cospirazione, e quando la sventura sarà divenuta pane quotidiano dovrà punire coloro che, per il solo fatto di esistere, la consegnano al caos [...] con cento milioni di esseri umani la Terra diventerebbe il paradiso; con i miliardi che la divorano e la insozzano sarà l’inferno da un polo all’altro, la prigione della specie...»
È la morte il tema principale[1], da cui dipartono tutte le sue tesi.
Tra le influenze che caratterizzano il pensiero di Caraco va annoverato certamente lo gnosticismo moderno e un misoteismo alla Lovecraft (benché Caraco come Lovecraft si definisca ateo[5] o agnostico indifferente, mancando in lui la prospettiva spiritualista e trascendente[13], e anti-monoteista), che infonde nell'autore una visione del mondo come degradazione, perdizione e caduta dell'uomo, creazione negativa o caos casuale dominato da volontà di vivere irrazionale.
«Più invecchio e più la Gnosi parla alla mia ragione, il mondo non è governato dalla Provvidenza, è intrinsecamente cattivo, profondamente assurdo, e la Creazione è il sogno di un'intelligenza cieca o un gioco di un principio senza morale.»
«Se c'è un Dio, il caos e la morte figureranno nel novero dei Suoi attributi, se non c'è, non cambia nulla, poiché il caos e la morte basteranno a se stessi fino alla consumazione dei secoli.»
«Non abbiamo mai avuto nessun Padre in Cielo, siamo orfani [...] nessuno ci redimerà se non ci salveremo da soli [...]. Il cielo è vuoto, e voi sarete orfani, per vivere e morire da uomini liberi.[5]»
La sua unica prospettiva escatologica è il nulla[13], l'uomo viene dal nulla e ad esso deve tornare:
«Il ritorno all'origine è il primo dovere, altrimenti l’uomo è finito. Perciò i rari pensatori degni di questo nome si occupano di ontologia e di etimologia per ristabilire una metafisica, mentre le menti piccine, preoccupate di stare al passo con la moda, si immergono nella contemplazione del sociale, questo dettaglio subalterno. Giacché la società non è nulla, essa è forma che ha per contenuto la massa di perdizione, è la mischia dei sonnambuli spermatici, qualcosa di infinitamente spregevole che il filosofo non prenderà affatto in considerazione. [...] Rotoleremo tutti insieme nelle tenebre da cui non si ritorna, e il pozzo buio ci accoglierà, noi e i nostri dèi assurdi, noi e i nostri valori criminali, noi e le nostre speranze ridicole [...] Il mondo che abitiamo è l'Inferno temperato dal nulla. [...] La natura del mondo è l'assoluta indifferenza, e dovere del filosofo è quanto meno essere simile alla natura del mondo, continuando a essere l'uomo che non potrà smettere di essere: la coerenza, la misura e l'obiettività hanno questo prezzo. Tutti i problemi sarebbero risolti con l'obiettività, la misura e la coerenza, ma poiché la maggior parte degli uomini ne è incapace, tutti i problemi restano insolubili, la catastrofe sarà sempre l'unica scuola in cui gli indegni riceveranno l'insegnamento che la stupidità e la follia meritano loro.»
Caraco indica inoltre l'assenza di dolore e di distacco emotivo come obiettivi.
«Il dolore è ovunque e il primo dovere consiste nell'evitarlo, esso è la moneta dell'amore, amore e dolore procedono di pari passo, meno amiamo e meno siamo minacciati.»
Benché lontanissimo dalle teologie femministe, Caraco scrive, rimpiangendo il paganesimo e, sotto l'influenza di Frazer, Graves e Bachofen, la religione matriarcale; immaginare un mondo futuro, in cui però non crede, popolato da donne in pace mentre l'umanità attuale si sarà tutta estinta o autodistrutta.
«Un mondo che fosse rimasto pagano non avrebbe violentato la natura, i Paganesimi la consideravano divina, di norma adoravano alberi e sorgenti: anziché sul tempo, posto dalle religioni cosiddette rivelate al centro dei loro dogmi, i Paganesimi ruotavano sullo spazio e, salvo eccezioni, preferivano la misura alla trascendenza e l’armonia a ogni altra cosa.»
«Voglio che il principio femminile presieda alla fondazione della città futura [...] Non sappiamo quali dèi adoreranno i secoli futuri, noi crediamo nell'avvento di un ordine in cui il principio femminile prenderà il posto che riserviamo in Cielo al Padre, divenuto per noi Padre del caos e della morte. Noi caldeggiamo la promozione di Maria: Maria, che nei Quattro Vangeli non era nulla, sale definitivamente in Cielo, del quale prende possesso dopo duemila anni, è Magna Mater risuscitata! e Gesù non è più che la sua appendice, ma le manca sempre una metà di se stessa. I secoli a venire ripristineranno l'integrità della Dea, giacché non basta che ella sia Vergine e Madre, bisogna anche che sia Prostituta e che assorba la figura della Maddalena, con la quale si ha il compimento dell'integrità. Allora e soltanto allora potremo celebrare il matrimonio del Cielo con la Terra, allora e soltanto allora rinunceremo all'idea di sacrificio, allora e soltanto allora la pace sarà perpetua e il principio femminile padrone assoluto del mondo, come prima della Storia, allora e soltanto allora il movimento si arresterà affinché l'immobilità regni, allora e soltanto allora il centro sarà riconquistato e lo spazio verrà organizzato a partire da quel centro.»
«In verità l'uomo non ha cuore, da sempre la sua carità non è che un esercizio, per non essere violento egli deve farsi violenza, e l'ordine che instaura si fonda sul delitto. I popoli antichi, quelli di prima della Storia, erano più semplici e più miti di quelli a cui dobbiamo i nostri imperativi e le nostre tradizioni, essi erano governati da donne e noi li giudichiamo immorali...»
La figura femminile, verso cui riflette la propria misoginia e odio per la riproduzione ma anche le proprie speranze, riflette il rapporto con la sua stessa madre, è ambivalente come l'archetipo junghiano della Grande Madre, è salvezza e apocalisse, come si nota nell'opera seguente (seppur pubblicata prima) Post mortem: è la «"madre divoratrice" e la "Mater Gloriosa". Caraco la celebra come un sacerdote, conscio di essere stato mutilato sessualmente dalla dea. Ma quella mutilazione aveva segnato anche la sua iniziazione.»[14]
«La Signora Madre è morta, l’avevo dimenticata da qualche tempo, la sua fine me la restituisce alla memoria, magari solo per poche ore, meditiamoci sopra prima che ricada nel dimenticatoio. Mi chiedo se le voglio bene e sono costretto a rispondere: No, le rimprovero di avermi castrato, poca cosa davvero, ma insomma… mi ha trasmesso la sua complessione ed è più grave, perché soffriva di alcalosi e allergie, io ne soffro ancora più di lei e i miei malanni non si contano, e poi mi ha messo al mondo e io professo l'odio per il mondo. [...] L'amabile donna meritava di morire con dolcezza e non di disfarsi in mezzo a medici impotenti e glaciali...»
Caraco tuttavia fu molto provato dalla malattia e dalla morte della madre che ringrazia a per averlo protetto dal mondo e dalle altre donne.[15]
Nelle ultime pagine del Breviario afferma che «noi usciremo dalla nostra Storia soltanto dopo averla esaurita e non la esauriremo se non mediante la nostra immolazione, tutto il mondo dovrà diventare un cimitero perché prevalga il cambiamento di sensibilità...»
«La guerra è l'elemento dell'uomo e l'uomo vi si prepara, la guerra è la sua ragione d'essere, e se la pace perpetua ci fosse restituita, come prima della Storia, ai tempi in cui la donna era padrona e insieme sacerdotessa, il potere temporale e il potere spirituale gli sfuggirebbero di mano, e come cinquanta secoli or sono egli rientrerebbe nel nulla, quel nulla da cui la morte lo fa uscire, la morte, l'ordine morale, la guerra e la necessità delle virtù militanti, l'apparato della barbarie legale e l'instaurazione della disumanità sistematica. L'uomo ha bisogno di legittimare la sua preminenza organizzando la sventura, solo a questo prezzo si tende indispensabile, ma questo prezzo, per quanto tempo ancora potremo pagarlo?»
Eppure la donna di Caraco resta idealizzata e irreale, la femminilità reale non è compresa filosoficamente (si intravede qui l'influenza di Weininger e Schopenhauer):
«La donna in quanto tale è incostante e non vale l'uomo, le sue qualità profonde sono impersonali, le sue più alte virtù sono archetipiche, l'opera delle femministe la fa progredire solo per quanto riguarda i diritti manifesti e, pur non osteggiandola, la riteniamo insufficiente, al massimo può fare della donna un uomo subalterno, appena l’aborto di una virilità per definizione dubbia.»
Al contempo la sfera maschile non sfugge al severo giudizio di Caraco, anzi la maggioranza viene ritenuta spiritualmente inferiore:
«Il mondo della donna non è il mondo dello Spirito, ma da questo la maggior parte degli uomini resta lontana, e attribuir loro lo Spirito perché non sono donne mi sembra una presunzione che non si regge, come regola generale gli uomini si collocano in basso quanto le donne, se non più giù. Io mi sento lontano dagli uomini e dalle donne, la loro unione mi sembra piuttosto ridicola e preferisco la solitudine al matrimonio e il nulla alla paternità, le donne sono per noi più un peso che un sollievo, malgrado l’opposta illusione, ma per rompere il loro incantesimo bisogna ridursi alla continenza.»
Ma nemmeno il principio femminile salverà il mondo: Caraco conclude il suo Breviario senza dare alcuna speranza all'umanità.
«Il mondo che abitiamo è duro, freddo, cupo, ingiusto e metodico, i suoi governanti sono o imbecilli patetici o veri scellerati, nessuno è più all'altezza dei tempi, siamo tutti quanti superati, piccoli e grandi, la legittimità appare inconcepibile e il potere non è tale che di fatto, è un ripiego a cui ci si rassegna. Se si sterminassero da un polo all'altro tutte le classi dominanti, nulla cambierebbe, l'ordine instaurato cinquanta secoli or sono non ne sarebbe minimamente scosso, il cammino verso la morte non si arresterebbe più un solo giorno e i ribelli trionfanti non avrebbero altra scelta che essere i legatari delle tradizioni sorpassate e degli imperativi assurdi. La farsa è finita, comincia la tragedia, il mondo diventerà sempre più duro, più freddo, più cupo e più ingiusto, e, nonostante - il caos dilagante, sempre più metodico: anzi, è proprio l'unione della mentalità sistematica con il disordine a sembrarmi il suo carattere meno eccepibile, mai si vedranno più disciplina e più assurdità, più calcolo e più paradosso, insomma più problemi risolti, ma risolti inutilmente.»
Importante per l'autore è anche la lettura della manualistica seicentesca, come ad esempio il più volte citato Baltasar Gracián,[16] dal quale Caraco prende in prestito l'attitudine prudente e cortese[11], la necessità di vivere appartato e di dissimulare.
Per un certo verso, Caraco si può anche definire un dandy, vista la sua volontà di distinguersi e di creare - attraverso la ricercatezza linguistica, l'uso di arcaismi, avversione per la massa[12], nostalgia di epoche passate e la volontà di non "mischiarsi" al resto degli uomini - una propria dimensione indipendente e autosufficiente.
Numerose sono anche le influenze ciniche e stoiche che si trovano nella filosofia di Caraco, a partire dall'ideale del saggio come entità indipendente e come esempio di virtù ascetica e casta (l'idea di castità e continenza, in particolare l'antinatalismo, viene infatti ribadita a più riprese da Caraco, convinto che il mondo sia già eccessivamente popolato, e che dunque procreare sia dannoso e inutile).
«I nostri destini sonnecchiano negli occhi delle vergini più innocenti, nell'ombra delle giovani più incantevoli la schiavitù avanza in armi, l'illusione rinasce a ogni generazione e gli amplessi la perpetuano, da secoli e millenni il solo rimedio è la continenza.»
«Beati i morti. E tre volte miseri coloro che, in preda alla follia, generano! Beati i casti! Beati gli sterili! Beati anche coloro che preferiscono la lussuria alla fecondità! Oggi gli Onanisti e i Sodomiti sono meno colpevoli dei padri e delle madri di famiglia, perché i primi distruggeranno se stessi e i secondi distruggeranno il mondo, a forza di moltiplicare le bocche inutili. [...] Un mondo popolato da Onanisti e da Sodomiti sarebbe meno miserabile del nostro, questa è la verità.»
«Per quanto odi l'orgasmo sessuale, godo dello stato di contemplazione e trasporto, di calma ed estasi, di certezza e vertigine, dove mi ritrovo altro diventando me stesso, a volte per tre ore. Che cosa c'è accanto a questa felicità, l'epilessia di una carne scossa per tre minuti?»
Caraco è collegabile allo stoicismo anche per l'idea del suicidio come atto naturale se razionalmente motivato, ad esempio dal fatto di aver esaurito il proprio compito o per non compromettere la propria integrità.[17]
Caraco può essere paragonato a diversi autori simili[18]: su tutti Louis-Ferdinand Céline (seppur su versanti politici diversi visto l'antisemitismo di quest'ultimo) ed Emil Cioran, per la "violenza compressa" che scaturisce nell'eleganza provocatoria dei suoi scritti. Cioran invece non stimava molto Caraco come filosofo, si disse "esasperato" dalle sue lodi e dediche; al contrario del franco-uruguaiano che lo ammirava, anche probabilmente per quella che giudicava mancanza di ironia e, secondo lui, di scetticismo sulle proprie posizioni, proclamate come verità nonostante si dichiarasse egli stesso scettico, e giudicandone le opere ben scritte ma vuote[19]; può essere accostato anche ad Arthur Schopenhauer, Nicolás Gómez Dávila, Thomas Bernhard, Mainländer, Leopardi, Guido Ceronetti (ammiratore esplicito di Caraco), Drieu La Rochelle, Nietzsche (per il tono profetico e contestatorio dei valori comuni), Baudelaire, Celan[5], Camus[5] (nella prima fase del suo pensiero) e ad altri scrittori e filosofi pessimisti oppure collegati alla rivoluzione conservatrice quali Spengler (si veda il suo testo Il tramonto dell'occidente) e Heidegger riguardo alla tematica esistenzialista dell'essere-per-la-morte. Come alcuni di questi - Céline in particolare - Caraco mostra dei tratti politici reazionari, controrivoluzionari, fortemente misantropici, elitisti e conservatori; Caraco si definisce anche a favore della monarchia nonché "razzista e colonialista"[20], e sostenitore dell'eugenetica.
«La mia buona coscienza è un abisso e soprattutto essendo ebreo mi sembra che la maggior parte delle nazioni meritino di essere sterminate, almeno un buon terzo e perché no? Noi abbiamo fornito il nostro contingente, altri devono pagare e ne sarei felice, in fede, se l'universo fosse pieno di forni ardenti, di campi di concentramento fatiscenti, di popoli deportati e morenti, e me ne frego di piacere agli altri.»
Anticipa anche le idee che saranno espresse da Pascal Bruckner:
«Gli Africani e gli Asiatici hanno scoperto il Nazionalismo, e non sono estranei al Razzismo, quella gente segue le nostre orme, e se aspettiamo che si disingannino, diventeremo loro servi o loro vittime, le nostre donne saranno le loro prostitute e i nostri beni il loro bottino. Non ci perdoneranno di averli umiliati senza poi sterminarli, non ci perdoneranno di averli costretti ad abdicare nella speranza di vincerci, ci vinceranno, se avremo ragione troppo presto, essi si giovano tanto dei nostri spirituali, all’ombra dell'ecumenismo, quanto dei nostri intellettuali, sotto il manto dell’obiettività: siamo perduti, se cadiamo nella trappola. Parliamo di fraternità e dimentichiamo che di fronte a noi abbiamo dei mendicanti e dei vendicatori, brutti, malsani, viziosi, crudeli e dispotici, più cattivi dei peggiori di noi e più bugiardi dei nostri sofisti più incalliti.»
Ambiguo il suo rapporto con la Francia: fu grande ammiratore della storia francese passata, quanto ai limiti della francofobia nei confronti della Francia contemporanea (nata dalla rivoluzione francese, pur essendo benevolo verso Napoleone), specialmente dopo il 1830.[21] Alcuni suoi passi paiono anche rimandare ad una sorta di anarchismo "distruttore" individualista alla Max Stirner o al nichilismo attivo del citato Nietzsche, come unica speranza di ricostruire un qualche temporaneo ordine, gli dèi morti con divinità nuove per la maggioranza.[22]
Caraco è anche autore di saggi di diversa intonazione, riguardanti l'estetica, l'arte, la società e la filosofia della storia, come L'homme de lettres, L'uomo di mondo, Supplemento alla psychopathia sexualis (parodia e satira del testo scientifico di Richard von Krafft-Ebing), su cui si notano gli influssi letterari di Queneau, di Céline e del nichilismo amorale, determinista e libertino del marchese de Sade con una forte venatura anticlericale e iconoclasta,[23] ma anche con ragionamenti filosofici simili, secondo i quali qualsiasi cosa si faccia, ci si pentirà, quindi non fare nulla o fare sono equivalente; perciò, contrariamente alla sua vita e ai suoi altri scritti sulla rinuncia, qua Caraco descrive implicitamente un libertinismo edonista come possibilità alternativa:
«Un tale proclama che l'ultima parola della saggezza socratica è racchiusa nella proposizione secondo cui si finirà, [qualunque] cosa si faccia, per rimpiangere quel che si è fatto, e nell'interiezione secondo cui la vita è spaventosa. C’è di che guarire dai loro scrupoli gli uomini più delicati, e dai rimorsi quelli più viziosi: si tratta della più bella lezione di cui l’interessato abbia memoria.»
Solamente cinque opere hanno avuto una traduzione italiana: Post mortem e Breviario del Caos pubblicati dalla casa editrice Adelphi, Supplemento alla psychopathia sexualis, pubblicato da ES, L'homme de lettres e L'uomo di mondo pubblicate da Guida.
«Tanto aveva sofferto di essere orfana, tanto aveva pianto sua madre, che volle in qualche modo vendicarsi della sorte e mettere al mondo un figlio solo per coccolarlo con trasporto smodato. Mi ha fatto venire a nausea ogni genere di tenerezze a forza di soffocarmi di abbracci e prima di arrivare alla mezza età non volevo più esser baciato da nessuno, sono pieno da scoppiare di manifestazioni affettuose, sono saturo di smancerie, ed è una forza di cui la ringrazio, non andrò a mendicare carezze come fanno tanti uomini malamati che si lasciano allettare da un’ombra di sorriso. [...] Madre, io vi saluto! Assistetemi con i vostri consigli e ricordatemi i vostri esempi! Vi siete configurata in un simbolo e io vi offro il mio scritto in sacrificio di lode! Da ammalata vi avevo perduta, da morta vi ritrovo, distruggo in me il ricordo del vostro decadimento e ripristino quello del vostro operato. Non mi importa di sapere che l’universo è vuoto, non mi importa di sentire che la necessità governa e che le leggi del mondo sono impersonali, non c’è mai stata altra verità e io dichiaro che mi basta, non ho che disprezzo per i deboli che credono di poterli rivedere, i loro morti.»
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