I dalmati italiani sono gli abitanti italiani autoctoni della Dalmazia, una regione storico-geografica adriatica che dagli anni novanta è compresa nei confini di Croazia, Bosnia-Erzegovina e Montenegro. All'inizio del XXI secolo sono ridotti ad alcune centinaia nella loro terra, a cui vanno ad aggiungersi diverse migliaia dell'esodo giuliano-dalmata, ma quest'ultimi ormai generalmente integratisi e assimilatisi nelle comunità d'adozione.
Nell'odierna Dalmazia sopravvivono comunità italiane di modesta entità numerica, divise tra gli Stati di Croazia e Montenegro, ultima testimonianza di una presenza bimillenaria di genti prima illirico-latine e poi neoromanze, che ha enormemente influenzato la regione e che ha le sue radici nelle popolazioni sopravvissute alle invasioni slave, o con quest'ultimi fusesi pur mantenendo caratteri distintivi propri.
Secondo il linguista Matteo Bartoli, all'inizio delle guerre napoleoniche (1803), l'italiano era l'idioma parlato come prima lingua da circa il 33% della popolazione dalmata[2][3].
Alle valutazioni di Bartoli si affiancano anche altri dati: Auguste de Marmont, il Governatore francese delle Province Illiriche commissionò un censimento nel 1809 attraverso il quale si scoprì che i dalmati italiani, concentrati soprattutto nelle città, costituivano oltre il 29% della popolazione totale della Dalmazia.
La comunità italiana nel corso del XIX secolo era ancora consistente. Secondo il censimento austriaco del 1865 raggiungeva il 12,5% del totale nella regione: un dato inferiore al 20% stimato nel 1816[4].
Va notato come per secoli, almeno dall'inizio dell'età moderna e fino alla prima metà dell'800, tra molti dalmati ed in particolare tra la componente romanza o romanzizzata, si sviluppò un peculiare senso di appartenenza ed identità regionale, di dalmaticità. Tanto da poter parlare di nazione dalmata.
Con l'affermarsi del concetto di nazionalismo romantico e l'affiorare delle coscienze nazionali, cominciò il processo d'identificazione di singoli e comunità, e la lotta fra gli italiani e gli slavi per il dominio sulla Dalmazia.
La comunità italiana è stata praticamente cancellata da questo scontro fra opposti nazionalismi, che ha conosciuto diverse fasi:
Tra il 1848 e il 1918 l'Impero Austroungarico - in particolar modo dopo la perdita del Veneto a seguito della Terza guerra d'Indipendenza (1866) - favorì l'affermarsi dell'etnia slava per contrastare l'irredentismo (vero o presunto) della popolazione italiana. Nel corso della riunione del consiglio dei ministri del 12 novembre 1866 l'imperatore Francesco Giuseppe delineò compiutamente in tal senso un piano di ampio respiro:
«Sua Maestà ha espresso il preciso ordine che si agisca in modo deciso contro l'influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona e, occupando opportunamente i posti degli impiegati pubblici, giudiziari, dei maestri come pure con l'influenza della stampa, si operi nel Tirolo del Sud, in Dalmazia e sul Litorale per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori a seconda delle circostanze, con energia e senza riguardo alcuno. Sua maestà richiama gli uffici centrali al forte dovere di procedere in questo modo a quanto stabilito.»
A partire dal 1866 il nazionalismo croato, che puntava all'unificazione della Dalmazia all'interno dell'Impero col Regno di Croazia e Slavonia, cominciò quindi a raccogliere crescenti simpatie nell'establishment conservatore austriaco, che lo riteneva più fedele degli italiani al potere imperiale. La politica di collaborazione con i serbi locali, inaugurata dallo zaratino Ghiglianovich e dal raguseo Giovanni Avoscani, permise poi agli italiani la conquista dell'amministrazione comunale di Ragusa nel 1899. Nel 1909 la lingua italiana venne vietata però in tutti gli edifici pubblici e gli italiani furono estromessi dalle amministrazioni comunali[7]. Queste ingerenze, insieme ad altre azioni di favoreggiamento al gruppo etnico slavo ritenuto dall'impero più fedele alla corona, esasperarono la situazione alimentando le correnti più estremiste e rivoluzionarie.
Dopo la prima guerra mondiale le truppe italiane occuparono militarmente la parte della Dalmazia promessa all'Italia dal Patto di Londra, accordo segreto firmato il 26 aprile 1915, che venne stipulato tra il governo italiano e i rappresentanti della Triplice Intesa, con cui l'Italia si impegnò a scendere in guerra contro gli Imperi Centrali in cambio di cospicui compensi territoriali in seguito invece non completamente riconosciuti nel successivo trattato di Versailles, che fu firmato alla fine del conflitto[8]. La regione divenne quindi oggetto di un'aspra contesa e localmente si acuì all'estremo la tensione fra l'elemento italiano e la maggioranza slava. Con l'annessione della maggior parte della Dalmazia al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, si verificò l'esodo di una parte consistente degli italiani ed italofoni della Dalmazia verso Zara, Lagosta (annesse al Regno d'Italia) e verso l'Italia stessa. Ai rimasti - diverse migliaia[9] concentrati prevalentemente a Veglia[10], Sebenico, Spalato, Traù, Ragusa e in alcune isole - fu concesso il diritto di richiedere la cittadinanza italiana - rinunciando a quella jugoslava - a seguito del trattato di Rapallo (1920).
La diminuzione degli Italiani venne registrata dalle statistiche ufficiali austriache dell'Ottocento, che rilevarono la lingua d'uso della popolazione, ovvero la lingua più spesso adoperata nel corso della giornata.
Secondo tali statistiche, la lingua italiana in Dalmazia era parlata nelle seguenti percentuali (escluse le isole quarnerine: Cherso, Lussino, Veglia)[12]:
Anno
Numero di italiani
Percentuale
Popolazione (totale)
1800
92 500
33,00%
280 300
1809
75 100
29,00%
251 100
1845
60 770
19,7%
310 000
1865
55 020
12,5%
440 160
1869
44 880
10,8%
415 550
1880
27 305
5,8%
470 800
1890
16 000
3,1%*
516 130
1900
15 279
2,6%*
587 600
1910
18 028
2,7%*
677 700
L'asterisco * indica i censimenti nei quali venne rilevata sul campo la lingua d'uso. Gli altri dati sono invece contenuti negli annuari statistici dell'impero austriaco.
Per valutare la variazione del numero dei dalmati italiani sono indicativi alcuni dati locali relativi alla lingua d'uso in municipalità specifiche[13]:
1890: italiana 623 (18,7%), serbo-croata 1 349 (40,5%), tedesca 320 (9,6%), altre 598, totale 3 329
1900: italiana 338 (11,2%), serbo-croata 1 498 (49,6%), tedesca 193 (6,4%), altre 95, totale 3 021
1910: italiana 257 (8%), serbo-croata 1 489 (46,8%), tedesca 152 (4,8%), altre 73, stranieri 1 207, totale 3 178
In altre località dalmate, stando ai censimenti austriaci, gli italiani conobbero una diminuzione ancor più repentina: nel solo ventennio 1890-1910, nel comune di Arbe passarono da 225 a 151, a Lissa da 352 a 92, a Pago da 787 a 23, a Risano da 70 a 26, sparendo completamente in quasi tutte le località dell'entroterra.
La comunità italiana in Dalmazia, secondo i censimenti del 2011, è costituita da 349 residenti in Croazia[14] e da 135 residenti in Montenegro[15][16].
Questo numero sale per la Croazia a circa 1 500, considerando i dati forniti dalle locali Comunità degli Italiani e a circa 450 nella costa del Montenegro[17].
La comunità del Montenegro, concentrata principalmente a Cattaro e Perasto, discende direttamente dai Veneti della storica Albania veneta e rappresenta il gruppo italiano più forte in Dalmazia. Si stima però che nella Dalmazia croata il numero effettivo sia maggiore, in quanto esiste tuttora un diffuso timore nel dichiararsi italiani[18]. Inoltre le giovani e medie generazioni, spesso cresciute in famiglie miste, tendono a conformarsi ed assimilarsi alla maggioranza, di conseguenza l'età media degli italiani e italofoni autodichiaratisi tali è particolarmente elevata.
A seguito del crollo del regime comunista e alla dissoluzione della Jugoslavia, si è verificato un timido risveglio dell'identità degli ultimi italiani che hanno costituito delle Comunità italiane a Zara, Spalato, Lesina, quelle dell'area quarnerina a Cherso, Lussinpiccolo, Veglia e quella in Montenegro[19]. A Spalato è presente inoltre il Centro Ricerche Culturali Dalmate che nasce nel 2007 con lo scopo di occuparsi di storia e cultura dalmata, con la sua specifica matrice culturale latina e veneta. Più a sud a Ragusa esiste una comunità non ufficiale di italiani che fa riferimento al locale Vice Consolato Onorario d'Italia (il cui responsabile è un raguseo italiano) (ed alla Società Dante Alighieri), mentre a Sebenico i pochissimi (qualche decina) italiani sono iscritti alla Comunità della vicina Spalato. In Montenegro, a Perasto, recentemente è stato creato il gruppo "Amici di Perasto", a ricordo del fatto che i perastini erano i custodi del Gonfalone di Venezia fino al 1797.
In Dalmazia opera la Società Dante Alighieri importante istituzione culturale italiana che ha lo scopo di tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiana nel mondo. È presente con quattro sedi: Zara, Spalato, Ragusa e Cattaro.
Il Ministero dell'istruzione croato, dopo un travagliato iter durato alcuni anni, ha autorizzato dall'anno scolastico 2009/2010 l'apertura di una sezione in lingua italiana in uno degli asili di Zara, a causa delle resistenze dell'amministrazione e di parte dell'opinione pubblica locali, l'asilo italiano "Pinocchio" di Zara è stato inaugurato appena nel 2013[20].
Secondo il censimento del 2011 i dalmati italiani sono in leggero incremento, dai 304 censiti nel 2001 ai 349 del 2011. A questi si aggiungono 705 abitanti che si dichiarano genericamente dalmatini, ossia popolazione mistilingua[21].
La moderna storiografia croata è tuttora affetta da pregiudizi che hanno le loro radici nei conflitti nazionali del XIX secolo.In Croazia non si riconosce una presenza autoctona italiana, né presente, né passata. Si sostiene che la Dalmazia fosse già totalmente croatizzata sin dall'Alto Medioevo e che la successiva presenza italiana (ritenuta peraltro limitata) sarebbe esclusivamente dovuta a emigrazioni straniere (prevalentemente veneziani) o all'italianizzazione dell'elemento slavo locale. I dalmati sarebbero dunque da considerarsi tutti croati e gli italiani di Dalmazia dei "croati italianizzati", compresa la totalità dei letterati dalmati, presentati come "scrittori croati in lingua italiana".[senza fonte]
L'evidenza storica della presenza romanza dopo le invasioni barbariche viene ammessa, ma si sostiene però che queste popolazioni, parlanti la lingua dalmatica, non sarebbero state connesse con gli italiani e si sarebbero successivamente assimilate ai croati. Gli effetti di queste teorie sono visibili nella storiografia croata, che spesso è purgata di qualsiasi riferimento all'Italia e agli italiani, così come sono state ricostruite a posteriori le storie nazionali di tutti i dalmati famosi, inseriti nell'alveo della storia croata: il filosofo di ChersoFrancesco Patrizi è stato ribattezzato Frane Petrić, lo scrittore di LesinaGiovanni Francesco Biondi, oggi in Croazia è noto come Ivan Franjo Bjundović, e l'architetto e scultore fiorentinoNiccolò di Giovanni Fiorentino, che lavorò prevalentemente in Dalmazia, oggi è identificato come Nikola Firentinac, ipotizzandone la sua ascendenza croata.[senza fonte]
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^Secondo il censimento jugoslavo del 1921, in tutto il Regno vivevano 12.553 italofoni, 9.365 dei quali nell'area della Croazia, Dalmazia, Slavonia, Medjmurje, Veglia e Castua, e 40 in Montenegro. Si veda in merito La Comunità Nazionale Italiana nei censimenti jugoslavi 1945-1991, Unione Italiana-Università Popolare di Trieste, Trieste-Rovigno 2001, p. 30.
^Alcuni geografi non considerano l'isola di Veglia come parte della Dalmazia.
^Il territorio della provincia - già esistente - fu molto ingrandito.
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