Giuseppe Farinella

Giuseppe Farinella, soprannominato Don Peppino (San Mauro Castelverde, 24 dicembre 1925Parma, 5 settembre 2017), è stato un mafioso italiano, legato a Cosa Nostra.

Per molti anni Giuseppe "Don Peppino" Farinella fu capo incontrastato della zona. In seguito divenne capo del mandamento di San Mauro Castelverde (o delle Madonie), esso è uno dei più vasti mandamenti, e va da Gangi fino a Mistretta, in provincia di Messina.[1] Secondo i pentiti Salvatore Cancemi, Francesco Di Carlo e Giovanni Brusca, Farinella è stato membro della Commissione, dalla fine degli anni '70 fino al suo arresto, avvenuto nel 1992[2].

Durante la seconda guerra di mafia, la famiglia Farinella si schierò a fianco dei Corleonesi, ma a causa del relativo isolamento di San Mauro Castelverde, non ebbe un ruolo attivo nella guerra[2][3]. Era considerato un fedelissimo di Riina e Provenzano[4].

Don Peppino era un mafioso vecchio stampo, non permetteva ai suoi uomini di chiedere il pizzo ai negozianti locali, cosa comune tra i mafiosi delle campagne. I ricavi non erano considerati utili rispetto ai soldi che potevano essere estorti alle imprese che vincevano appalti pubblici nel settore delle costruzioni[5]. Inoltre, non estorcere ai negozianti locali, Farinella aumentò la sua legittimità tra la gente del posto: "Don Peppino non voleva che i suoi uomini estorcessero un pizzo ai negozianti, secondo una vittima, perché questi ultimi, a differenza degli imprenditori, non svolgevano alcuna attività speculativa e perché lui... pensava che chiedere ai negozianti una tangente sembrava come chiedere l'elemosina".[6]

Nel 1988 il primo a svelare il ruolo di Don Peppino Farinella all'interno di Cosa nostra fu il pentito Antonino Calderone, che permise al giudice Giovanni Falcone di farlo arrestare: una decina di giorni dopo, all'alba del 29 marzo, decine di auto e di mezzi blindati dei carabinieri circondarono e bloccarono tutte le cittadine del comprensorio delle Madonie, arrestando due funzionari del comune di Cefalù, due dipendenti regionali e sei imprenditori, accusati di pilotare tutti gli appalti pubblici della zona per conto di Don Peppino[7][8]. L'inchiesta sulla mafia delle Madonie fu causa di contrasti tra il consigliere istruttore Antonino Meli e Falcone, il quale avrebbe voluto seguire personalmente le investigazioni.[9] La Cassazione accolse invece la proposta di Meli di affidare l'indagine alla Procura di Termini Imerese, nel cui territorio sono comprese le Madonie.[10][11]

Risulta che Farinella, nei primi anni novanta, estendeva la sua influenza dal mandamento di San Mauro Castelverde fino a Barcellona Pozzo di Gotto e a Tortorici, nel messinese.[12][1] Sua alleata era infatti la cosca tortoriciana, chiamata I'ssunti, capeggiata da Orlando Galati Giordano (poi divenuto collaboratore di giustizia), che si contrapponeva a quella dei Bontempo Scavo, alleata invece del "cane sciolto" Pino Chiofalo, legato alla 'ndrangheta ed avversario di Cosa nostra.[13][14] Nel 1991, Farinella è stato anche il "padrino" d'affiliazione mafiosa di Giuseppe Gullotti, detto l'avvocaticchio, diventato il boss indiscusso di Barcellona Pozzo di Gotto dopo l'arresto di Pino Chiofalo nel 1987 e condannato come mandante dell'omicidio del giornalista Beppe Alfano, assassinato nel 1993[15][12][16].

È morto il 5 settembre 2017 nell'ospedale di Parma, a causa di complicanze dovute da un ictus avuto cinque mesi prima. Era in regime di 41bis dal 1994 ed era il più vecchio boss in regime di carcere duro in vita[4][17].

Arresto e condanne

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Farinella venne arrestato il 21 marzo 1992. Dopo il suo arresto, gli succedette a capo del mandamento il figlio Domenico detto "Mico".[3]

Nel 1993 Giuseppe Farinella e altri 300 boss, vennero graziati dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e dal Presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi. Molti boss finiti in carcere durante il blitz delle Madonie beneficiarono della grazia, tra di essi Giusi Farinella, cugino omonimo di Don Peppino, condannato a 4 anni, e l'imprenditore Giuseppe Ferrara, condannato a 2 anni e sei mesi. Mentre a Farinella fu revocato il regime di carcere duro, ma rimase in carcere. Fu Silvio Berlusconi, all'epoca Presidente del Consiglio, a firmare nel 1994 un nuovo 41bis per quei 300 boss, tra cui Giuseppe Farinella.[18]

Secondo i pubblici ministeri, Farinella continuò a comandare anche all'interno del carcere. Era “portatore di un altissimo tasso di pericolosità sociale”, capo di un clan “ancora operante”, senza che vi fossero stati segnali di dissociazione, anzi “anche durante la detenzione ha continuato a comunicare con il sodalizio” e “si era dimostrato capace di mettervi a capo il figlio e poi il genero e di organizzare gravi delitti all’interno del carcere”.[3]

  1. ^ a b L’irriducibile “padrino” che regnava tra le Madonie e i Nebrodi - Gazzetta del Sud, su gazzettadelsud.it. URL consultato il 24 settembre 2024.
  2. ^ a b IL PROBLEMA DEGLI “SCAPPATI” DELLA SECONDA GUERRA DI MAFIA: IL RITORNO DEGLI INZERILLO (PDF), su static.repubblica.it, p. 4.
  3. ^ a b c Nonno, figlio e nipote|Dalle stragi allo champagne, su livesicilia.it.
  4. ^ a b Morto il boss Farinella: era al 41 bis per le stragi del 1992, in vocedinapoli.it, 5 settembre 2017.
  5. ^ Alfonso Sabella, Cacciatore di mafiosi, Milano, Mondadori, 2008.
  6. ^ Mafia Brotherhoods, p. 169.
  7. ^ IN MANETTE MAFIOSI E POLITICI - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 29 marzo 1988. URL consultato il 24 settembre 2024.
  8. ^ I POLITICI NELLA LISTA NERA - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 30 marzo 1988. URL consultato il 24 settembre 2024.
  9. ^ PALERMO, L' ULTIMA SFIDA E' IL BLITZ DELLE MADONIE - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 14 settembre 1988. URL consultato il 24 settembre 2024.
  10. ^ MELI VUOLE INCONTRARSI CON FALCONE E IL POOL 'PARLIAMONE TRA NOI' - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 26 novembre 1988. URL consultato il 24 settembre 2024.
  11. ^ LA CASSAZIONE DA' RAGIONE A MELI 'IL PROCESSO A TERMINI IMERESE' - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 24 novembre 1988. URL consultato il 24 settembre 2024.
  12. ^ a b Sentenza n. 4/2006 della Corte di Assise di Messina (processo denominato “Mare Nostrum”).
  13. ^ Villani e Leonardis, p. 68.
  14. ^ Sen. Nicola Morra, RELAZIONE CONTENENTE I RESOCONTI DELLE AUDIZIONI EFFETTUATE DA DELEGAZIONI DELLA COMMISSIONE NEI SOPRALLUOGHI SUI TERRITORI (PDF), in Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere - Doc. XXIII n. 38 - XVIII Legislatura.
  15. ^ Carmelo Catania, Mafia-Stato La trattativa continua ora - Pagina 2 di 5, su I Siciliani Giovani, 20 gennaio 2013. URL consultato il 24 settembre 2024.
  16. ^ Carlo Lucarella, Uccidete quel cane sciolto (PDF), su archivio.unita.news, L'Unità, 3 marzo 2003.
  17. ^ a b È morto il boss Giuseppe Farinella: fu condannato per le stragi di Capaci e via D’Amelio, su newsicilia.it, 6 settembre 2017.
  18. ^ 41bis: 340 uomini d′onore tra cui Farinella nel ′93 beneficiarono del mancato rinnovo, i pm indagano, su archivio.madonielive.com, 26 novembre 2010.
  19. ^ Madonie, tredici condanne, su Corriere della Sera, 10 gennaio 1993.
  20. ^ https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/09/27/strage-di-capaci-24-ergastoli.html?ref=search
  21. ^ Gli omicidi dei funzionari di Polizia Cassarà e Montana (bis), su radioradicale.it, 27 ottobre 1998.
  22. ^ la Repubblica/cronaca: Omicidio Borsellino pioggia di ergastoli, su www.repubblica.it, 9 dicembre 1999. URL consultato il 5 dicembre 2022.
  23. ^ Processo Lima - Sentenza di primo grado, su csm.it, pp. 7 e 17. URL consultato il 7 dicembre 2022 (archiviato dall'url originale il 7 dicembre 2022).
  24. ^ Processo Lima - Sentenza della Cassazione, su csm.it, p. 50. URL consultato il 7 dicembre 2022 (archiviato dall'url originale il 7 dicembre 2022).
  25. ^ Enrico Bellavia, Francese, delitto di Cupola 7 condanne, 2 assoluzioni - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 12 aprile 2001.
  26. ^ Omicidio Francese, la Cassazione assolve tre boss - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 3 dicembre 2003.

Voci correlate

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