Veljko Petrović (Sombor, 4 febbraio 1884 – Belgrado, 27 luglio 1967) è stato un poeta e scrittore serbo.
Il padre di Veljko Petrović si chiamava Đorđe ed era un catechista e un insegnante al seminario di Sremski Karlovci in Voivodina, invece la madre si chiamava Mileva ed era figlia del parroco di Sombor.[1]
Veljko Petrović nel 1902 si trasferì a Budapest dove studiò legge e si laureò quattro anni dopo.[1]
Nella primavera del 1906, a Budapest, con Juraj Gašparc, curò il mensile in lingua ungherese Kroacija (Croazia), con il sottotitolo Rassegna mensile socio-politica, economica e letteraria serbo-croata.[1]
Poi, nel 1911, si spostò a Belgrado, dove lavorò come corrispondente di guerra per il Branik di Novi Sad e per il Narod di Sarajevo; a Belgrado conobbe il poeta e critico letterario Sima Pandurović, oltre che l'eminente scrittore e critico letterario Jovan Skerlić.[1]
Fino al 1918 lavorò a Ginevra, dopo di che lavorò nel Ministero dell'Istruzione (1919) e dal 1925 fu ispettore del Dipartimento di Arte.[1]
Nel 1930, come giornalista del quotidiano Politika, soggiornò a Budapest, dove ritornò anche nel 1961.
Veljko Petrović si mise in evidenza con due raccolte di poesie, intitolate Poesie patriottiche (Rodoljubive pesme, 1911) e Sulla soglia (Na pragu, 1914),[2] che si caratterizzarono per la saldatura della letteratura tradizionale del suo Paese con innovazioni modernistiche, con le conseguenze della creazione di uno stile ed di un contenuto piuttosto peculiare, incentrato sia sui sentimenti nazionalistici sia su quelli più personali.[3]
Le stesse tendenze risultarono nelle prose, dove i ricordi della vita rurale vengono alternati a quelli della vita urbana, suscitando nello scrittore grandi rimpianti e l'elogio della purezza contadina.[3]
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