Carlo Alberto Rosselli (Roma, 16 novembre 1899[1] – Bagnoles-de-l'Orne, 9 giugno 1937) è stato un attivista, giornalista, filosofo, storico ed antifascista italiano.
Fu il teorico del "socialismo liberale", un socialismo riformista non marxista direttamente ispirato dal laburismo britannico e dalla tradizione storico-politica, italiana e non, del radicalismo liberale e libertario. Nel 1925 fondò a Firenze il foglio clandestino Non Mollare e nel 1926, insieme al socialista Pietro Nenni, la rivista milanese Il Quarto Stato. Fondò nel 1929 a Parigi il movimento antifascista Giustizia e Libertà, che nel 1936 combatté per la Repubblica nella Guerra civile spagnola, all'interno della Colonna Italiana Rosselli, costituita assieme agli anarchici. Fu ucciso nel 1937 in Francia insieme con il fratello Nello da assassini legati al regime fascista.[2]
Rosselli nacque a Roma il 16 novembre del 1899 da un'agiata famiglia ebraica, secondogenito dei tre figli del livornese Giuseppe Emanuele "Joe" Rosselli (10 agosto 1867 - Firenze, 9 settembre 1911)[3] e della veneziana Amelia Pincherle, sorella di Carlo Pincherle, architetto e pittore, oltreché padre dello scrittore Alberto Moravia. Tanto la famiglia paterna quanto quella materna, fermamente legate agli ideali repubblicani e mazziniani, erano state politicamente molto attive, avendo partecipato alle vicende del Risorgimento italiano: Pellegrino Rosselli, tra l'altro zio della futura moglie di Ernesto Nathan[4], fu un seguace e stretto collaboratore di Giuseppe Mazzini nei suoi ultimi anni di vita (quest'ultimo morì di fatto in clandestinità nella sua casa pisana) ed un Pincherle fu nominato ministro durante la breve esperienza della Repubblica di San Marco, instauratasi nel Triveneto a seguito d'una massiccia insurrezione anti-asburgica guidata da Daniele Manin e Niccolò Tommaseo.
I Rosselli avevano abitato per un considerevole periodo a Vienna, dove Giuseppe Emanuele aveva studiato composizione musicale e dove, nel 1895, era nato il primogenito Aldo Sabatino. In seguito, si trasferirono a Roma, dove il padre, rinunciando alle sue aspirazioni artistiche, si dedicò alla vita mondana, mentre la madre ottenne dei discreti successi come autrice di drammi teatrali. Qui, dopo Carlo, venne alla luce, l'anno seguente, il terzogenito Sabatino Enrico "Nello".
Nel 1903, i due coniugi si separarono: le condizioni economiche della famiglia avevano subito un grave tracollo a causa della leggerezza del padre. Amelia si trasferì con i suoi tre figli a Firenze, dove frequentarono le scuole: Carlo mostrò in quel periodo poco interesse per gli studi e la madre lo ritirò dal ginnasio, facendogli frequentare le scuole tecniche. Nel 1911 morì il padre.
L'entrata in guerra dell'Italia, nel 1915, fu accolta con entusiasmo dalla famiglia Rosselli, decisamente interventista. Il fratello Aldo fu arruolato come ufficiale di fanteria e morì in combattimento nel 1916, ricevendo una medaglia d'argento alla memoria. Carlo, ancora studente, collaborava dal 1917 al foglio di propaganda «Noi giovani», fondato dal fratello Nello, anche se l'editoriale Il nostro programma, che aprì in gennaio il primo numero del giornale, fu redatto con buone probabilità assieme a Carlo.
Il manifesto, che l'ingenuità di due ragazzi indirizzava verso una fiduciosa speranza in un mondo migliore, proponeva sin da allora alcuni tratti fondamentali della personalità di Carlo, ossia un amore incondizionato per l'umanità e la spinta all'azione nel solco dello spirito mazziniano, che lo inserisce nel filone dell'interventismo democratico. Per «Noi giovani», licenziò i primi articoli, uno in aprile sulla rivoluzione russa di febbraio, il secondo nel mese successivo vertente sull'entrata in guerra degli Stati Uniti.
Il primo testo, Libera Russia, esalta il risveglio del paese di Gorkij, Tolstoj e Dostoevskij, supremi interpreti di un rinnovamento in atto già dal secolo precedente, per cui la rivoluzione di febbraio non era che il punto culminante di una lunga preparazione all'avvento di una società più giusta. Vi «era tutta una massa che saliva lentamente, inesorabilmente. La marcia si poteva ritardare ma non impedire». Dei recentissimi eventi, inoltre, viene esaltata la componente "pacifica", la loro attuazione relativamente non violenta.
L'articolo Wilson mostra tutta la fiducia nutrita per l'uomo che definì il conflitto come «a war to end wars» (una guerra per porre fine alle guerre), uno slogan che rappresentava bene le speranze di Carlo e di tutta la famiglia Rosselli.[5]
In giugno fu chiamato alle armi: frequentò a Caserta il corso allievi ufficiali e venne assegnato nell'aprile del 1918 a un battaglione di alpini in Valtellina. La guerra finì senza che egli avesse dovuto sottomettersi al battesimo del fuoco e venne congedato col grado di tenente nel febbraio 1920.
Il contatto con i giovani militari appartenenti ai ceti più popolari fu molto importante per Rosselli e per altri studenti come lui: «apprezzarono la massa [...] furon posti in grado di comprendere tante cose che sarebbero loro certamente sfuggite nel loro isolamento di classe o di professione».
Diplomatosi all'Istituto tecnico, si iscrisse a Firenze al corso di Scienze sociali, laureandosi a pieni voti il 4 luglio 1921 con una tesi sul sindacalismo e si preparò a sostenere anche gli esami di maturità classica per ottenere il diritto di frequentare altri corsi universitari. Tramite il fratello Nello aveva conosciuto Gaetano Salvemini, professore dell'Università fiorentina, che sarà da allora un costante punto di riferimento per entrambi i fratelli. Gli fece rivedere la sua tesi, che Salvemini giudicò «non un'opera critica, equilibrata, sostanziosa», ma in essa «era incapsulata un'idea fondamentale: la ricerca di un socialismo che facesse sua la dottrina liberale e non la ripudiasse».
In questo periodo si avvicinò al Partito Socialista Italiano, simpatizzando, in contrapposizione all'allora maggioritaria corrente massimalista di Giacinto Menotti Serrati, per quella riformista di Filippo Turati, che egli ebbe poi modo di conoscere personalmente a Livorno nel 1921, durante lo svolgimento del Congresso nazionale del Partito, che sancì la definitiva scissione dell'ala di sinistra interna filo-bolscevica del Partito, che prenderà il nome di Partito Comunista d'Italia, e scrisse svariati articoli per la sua rivista Critica Sociale.
Nell'ottobre del 1922 Mussolini salì al potere; nello stesso periodo, la fazione di Turati venne espulsa dal PSI.
In dicembre Carlo Rosselli si trasferì a Torino, dove frequentò il gruppo della rivista gobettiana «La Rivoluzione liberale», in quel momento fortemente impegnata in senso antifascista, e con la quale, dall'aprile 1923, incominciò a collaborare. Conobbe Giacomo Matteotti, segretario dell'appena fondato Partito Socialista Unitario, nel quale erano confluiti Piero Gobetti e la componente riformista espulsa dal PSI.
Nel febbraio del 1923, a Firenze, il gruppo dei socialisti liberali che si raccoglieva intorno alla figura carismatica di Salvemini inaugurò il «Circolo di Cultura». Oltre ai Rosselli vi erano: Piero Calamandrei, Enrico Finzi, Gino Frontali, Piero Jahier, Ludovico Limentani, Alfredo Niccoli ed Ernesto Rossi. Gli ex-combattenti del circolo, nel 1923, aderirono all'associazione antifascista Italia libera.
Qualche mese dopo, il 9 luglio, Carlo si laureò in giurisprudenza all'università di Siena, con la tesi Prime linee di una teoria economica dei sindacati operai e partì per Londra, stimolato dal desiderio di conoscere la capitale del laburismo, di seguire i seminari della Fabian Society e di assistere, a Plymouth, al congresso delle Trade Unions. A Londra vi era anche Salvemini, che teneva un corso sulla storia della politica estera italiana al King's College.
Tornato in Italia in ottobre, grazie anche ai buoni uffici di Salvemini, si impiegò come assistente volontario nella Facoltà di economia dell'Università Bocconi a Milano, dove trasferì il suo domicilio. Proseguì la sua collaborazione alla «Critica Sociale» di Turati: in novembre vi pubblicò un articolo, invitando il Partito socialista a rompere con il marxismo, che egli giudicava espressione di «cieco e tortuoso dogmatismo», per mettersi piuttosto sulla linea di un «sano empirismo all'inglese».
Nel febbraio del 1924, inaugurò la sua collaborazione con la rivista della Federazione giovanile del PSU, «Libertà», scrivendo proprio un articolo sul movimento laburista inglese. Pochi mesi dopo il delitto Matteotti s'iscrisse al P.S.U.
Rosselli sperava invano che in Italia si costituisse una seria opposizione antifascista moderata in grado di offrire un'alternativa politica alla borghesia che guarda con simpatia al fascismo: una di queste avrebbe potuto essere l'Unione democratica nazionale di Giovanni Amendola, alla quale aderì il fratello Nello. In settembre Carlo era in Inghilterra, da dove inviava al giornale del PSU, la «Giustizia», le corrispondenze sull'evolversi della situazione politica inglese, successiva alla vittoria elettorale dei conservatori e alla rottura dell'alleanza tra laburisti e liberali.
Era pessimista sulle condizioni politiche dell'Italia: la secessione aventiniana non produceva effetti, con i suoi sterili tentativi di accordo con il re, con i generali e i fascisti dissidenti. Del resto i fascisti stavano reagendo e lo dimostrarono anche devastando, il 31 dicembre 1924, il «Circolo di Cultura» di Salvemini che, come non bastasse, venne chiuso dal prefetto con una singolare motivazione: «la sua attività provoca il giusto risentimento del partito dominante»[6].
Lasciato l'incarico alla Bocconi, Rosselli passò a insegnare Istituzioni di economia politica a Genova. Fu un periodo di grande impegno intellettuale, che portò Rosselli a scontrarsi con personaggi del calibro di Luigi Einaudi su temi economici (libero mercato, concorrenza) e ad approfondire le sue elaborazioni sul mondo lavorativo (disoccupazione, organizzazione sindacale) e sulle teorie politiche.
Scrisse a Salvemini: «forse non avrà apparentemente alcuna positiva efficacia, ma io sento che abbiamo da assolvere una grande funzione, dando esempi di carattere e di forza morale alla generazione che viene dopo di noi». Appare così, nel gennaio 1925, con la collaborazione di Ernesto Rossi, Gaetano Salvemini, Piero Calamandrei, Nello Traquandi, Dino Vannucci e di Nello Rosselli, che ne ha proposto il nome, il foglio clandestino Non Mollare.
In maggio la denuncia di un tipografo provocò la repressione e la dispersione di alcuni tra i redattori del foglio: Ernesto Rossi riuscì a fuggire a Parigi, il Vannucci in Brasile, Salvemini fu arrestato l'8 giugno a Roma e denunciato per «vilipendio del governo». In attesa del processo, messo in libertà provvisoria, a causa delle minacce dei fascisti, a luglio passò la notte a Firenze, in casa dei Rosselli, che non erano ancora fra i sospettati: gli squadristi però, venuti a conoscenza del fatto, devastarono l'abitazione il giorno dopo. Scrisse Rosselli a Giovanni Ansaldo: «Io sono di ottimo umore e l'altra sera ho financo bevuto alla distruzione compiuta! Se i signori fascisti non hanno altri moccoli, possono andare a dormire: aspetteranno a lungo la mia rinuncia alla lotta».
Ormai preso di mira dai fascisti, Rosselli fu aggredito a Genova mentre si recava all'Università e poi disturbato durante la sua lezione, con la richiesta del suo allontanamento. Nel luglio del 1926 si attivò infine lo stesso Ministro dell'economia, Giuseppe Belluzzo, che chiese il suo licenziamento. A questo punto, preferì dimettersi.
Pochi giorni dopo, il 25 luglio, a Firenze, sposò con rito civile Marion Catherine Cave, una giovane laburista inglese che era venuta nel 1919 a Firenze a insegnare lingua inglese nel British Institute, conosciuta da Rosselli nel 1923 al Circolo della Cultura salveminiano.
I due sposi vissero a Milano, dove Carlo aveva fondato insieme con Pietro Nenni la rivista «Il Quarto Stato», il cui primo numero uscì il 27 marzo 1926. La rivista avrà vita breve, venendo chiusa a novembre con l'entrata in vigore della legge sui «provvedimenti per la difesa dello Stato».
Scopo della pubblicazione era il tentativo di rappresentare un punto d'incontro di tutte le forze socialiste e di sviluppare temi di politica culturale al cui centro fosse «il perfezionamento della personalità umana» e l'elevamento della «vita spirituale e materiale» dei cittadini.
Il 26 novembre 1925 Rosselli, con Claudio Treves e Giuseppe Saragat costituì un triumvirato che, il 29 novembre successivo, costituì clandestinamente il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI), che prese il posto del P.S.U., sciolto d'imperio dal regime fascista, il 14 novembre, a causa del fallito attentato a Mussolini da parte del suo iscritto Tito Zaniboni, avvenuto il 4 novembre precedente.
Alla fine del 1926 organizzò con Italo Oxilia[7], Sandro Pertini e Ferruccio Parri l'espatrio di Filippo Turati a Calvi in Corsica, con un motoscafo partito da Savona. Mentre Turati, Pertini e Oxilia proseguirono per Nizza, Parri e Rosselli, ritornati con il motoscafo a Marina di Carrara, furono arrestati, nonostante tentassero di sostenere di essere reduci da una gita di piacere.
Rosselli fu accusato anche di aver favorito la fuga in Svizzera di Giovanni Ansaldo, di Claudio Silvestri, di Claudio Treves e di Giuseppe Saragat.
Venne detenuto nelle carceri di Como fino al maggio del 1927 e poi inviato al confino[8] di Lipari in attesa del processo.
L'8 giugno nacque suo figlio Giovanni Andrea "John". Quando Carlo fu ricondotto da Lipari a Savona per essere processato, nell'isola siciliana di Ustica giungeva il fratello Nello, condannato a 5 anni di confino.[9]
Al processo, che si aprì il 9 settembre, Rosselli si difese attaccando il regime: «il responsabile primo e unico, che la coscienza degli uomini liberi incrimina è il fascismo [...] che con la legge del bastone, strumento della sua potenza e della sua Nemesi, ha inchiodato in servitù milioni di cittadini, gettandoli nella tragica alternativa della supina acquiescenza o della fame o dell'esilio».
La sentenza, rispetto alle previsioni, fu mite: dieci mesi di reclusione e, avendone già scontati otto, Rosselli avrebbe potuto essere presto libero, ma le nuove leggi speciali permisero alla polizia di infliggergli altri 3 anni di confino da scontare a Lipari.
Lì venne raggiunto dalla moglie e dal figlio: la vita al confino trascorreva con le letture di Croce, di Mondolfo, dell'epistolario di Marx ed Engels e di Kant.
Intanto, si preparava la fuga, che venne organizzata da Parigi dall'amico di Salvemini Alberto Tarchiani.
Il 27 luglio 1929 Rosselli evase dall'isola, insieme con Francesco Fausto Nitti ed Emilio Lussu, con un motoscafo guidato dall'amico Italo Oxilia diretto in Tunisia, da cui poi i fuggiaschi raggiunsero la Francia.[10]
Nitti narrerà l'avventurosa evasione nel libro Le nostre prigioni e la nostra evasione, pubblicato quello stesso anno in inglese col titolo di Escape e in edizione italiana nel 1946, mentre Rosselli racconterà le vicende del confino e dell'evasione in Fuga in quattro tempi.
La moglie Marion, che aspettava la seconda figlia, Amelia "Melina", nata il successivo 28 marzo, venne in un primo tempo arrestata per complicità, ma presto fu rilasciata.
Nel 1929 a Parigi, con Lussu, Nitti, e un gruppo di fuoriusciti organizzati da Salvemini, fu fra i fondatori del movimento antifascista "Giustizia e Libertà". GL pubblicò diversi numeri della rivista e dei quaderni omonimi (con cadenza settimanale e mensile) e fu attiva nell'organizzazione di diverse azioni dimostrative, tra cui il volo sopra Milano di Bassanesi nel 1930.
Nello stesso anno pubblicò, in francese, Socialisme liberal. Il libro è una critica appassionata del marxismo ortodosso, colonna portante della stragrande maggioranza dei vari schieramenti politici socialisti dell'epoca. Il "socialismo liberale" propugnato da Rosselli si caratterizza quale una creativa sintesi della tradizione del marxismo revisionista, democratico e riformista (quello, tra gli altri, di Eduard Bernstein, Werner Sombart, Turati e Treves), ed il socialismo non marxista, libertario e decentralista (come quello di Francesco Merlino, Salvemini, G. D. H. Cole, R. H. Tawney e Oszkár Jászi); il testo, però, contiene anche un attacco dirompente allo stalinismo della Terza Internazionale che, con la formula del "socialfascismo", aveva accomunato le forze del socialismo riformista e della socialdemocrazia al liberalismo "borghese" ed al fascismo.
Non stupisce perciò che uno fra i più importanti stalinisti, Palmiro Togliatti, abbia definito "Socialismo liberale" un "magro libello antisocialista" e Rosselli "un ideologo reazionario che nessuna cosa lega alla classe operaia".
Nell'ottobre del 1931 Giustizia e Libertà aderì alla Concentrazione Antifascista, unione di tutte le forze antifasciste non comuniste (repubblicani, socialisti, CGL) che intendeva promuovere e coordinare dall'estero ogni possibile azione di lotta al fascismo in Italia; si iniziarono a pubblicare i "Quaderni di Giustizia e Libertà".
Dopo l'avvento del nazismo in Germania nel 1933, GL sostenne la necessità di una rivoluzione preventiva per rovesciare i regimi fascista e nazista prima che questi portassero a una nuova tragica guerra, che a GL sembrava l'inevitabile destino dei due regimi.
Nel 1936 scoppiò in Spagna la guerra civile tra i rivoltosi dell'esercito filo-monarchico, che effettuarono un colpo di Stato, e il legittimo governo repubblicano del Fronte Popolare di ispirazione marxista. Rosselli fu subito attivo nel sostegno alle forze repubblicane, criticando l'immobilismo di Francia e Regno Unito, mentre l'Italia e la Germania aiutavano Francisco Franco con uomini e armi agli insorti.
Nell'agosto combatté la sua prima battaglia in Spagna, nei dintorni di Huesca sul fronte di Aragona; cercò poi di costituire un vero e proprio battaglione (intitolato a Giacomo Matteotti).
La prima formazione italiana, che prenderà poi, dopo l'uccisione dei due fratelli, il nome di Colonna Italiana Rosselli, annoverava tra i 50 e i 150 uomini, reclutati fra gli esuli italiani in Francia dal movimento Giustizia e Libertà e dal Comitato Anarchico Italiano Pro Spagna; tra questi c'erano anche gli anarchici Umberto Marzocchi e Camillo Berneri. Umberto Marzocchi scrisse un libro sulla comune esperienza antifascista di anarchici e di militanti di Giustizia e Libertà, "Carlo Rosselli e gli anarchici".
In un discorso a Radio Barcellona il 13 novembre 1936[11], Rosselli pronuncia la frase che poi diverrà il motto degli antifascisti italiani: "Oggi qui, domani in Italia":
«È con questa speranza segreta che siamo accorsi in Ispagna. Oggi qui, domani in Italia. Fratelli, compagni italiani, ascoltate. È un volontario italiano che vi parla dalla Radio di Barcellona. Non prestate fede alle notizie bugiarde della stampa fascista, che dipinge i rivoluzionari spagnuoli come orde di pazzi sanguinari alla vigilia della sconfitta.»
Nel dicembre 1936 in seguito a contrasti con gli anarchici si dimette da comandante della Colonna e nel gennaio 1937 fonda il battaglione Matteotti.
Nel giugno 1937 soggiornò a Bagnoles-de-l'Orne per delle cure termali, località dove fu raggiunto dal fratello Nello.
Il 9 giugno i due furono uccisi da una squadra di "cagoulards", miliziani della "Cagoule", formazione eversiva di destra francese, su mandato, forse, dei servizi segreti fascisti e di Galeazzo Ciano; con un pretesto vennero fatti scendere dall'automobile, poi colpiti da raffiche di pistola: Carlo morì sul colpo, Nello (colpito per primo) venne finito con un'arma da taglio.[12][13]. I corpi vennero trovati due giorni dopo; i colpevoli, dopo numerosi processi, riusciranno quasi tutti a essere prosciolti.
I fratelli Rosselli furono sepolti nel cimitero monumentale parigino del Père Lachaise, ma nel 1951 i familiari ne traslarono le salme in Italia, nel Cimitero Monumentale di Trespiano, nel piccolo borgo omonimo, comune di Firenze, sulla via Bolognese.
L'anziano Salvemini tenne il discorso commemorativo funebre, alla presenza del presidente della Repubblica Luigi Einaudi. La tomba dei due eroi dell'antifascismo si trova nel Sacrario di Giustizia e Libertà, nel riquadro subito a destra dell'ingresso, dove la lapide dei Rosselli riporta il simbolo della "spada di fiamma", emblema di Giustizia e Libertà, e l'epitaffio scritto da Calamandrei:
«GIUSTIZIA E LIBERTA' PER QUESTO MORIRONO PER QUESTO VIVONO»
Il medesimo sacrario include le tombe di Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi, Enrico Bocci e Nello Traquandi, in quello che è denominato il "Quadrato del Non Mollare".
Nel cimitero di Trespiano sono sepolti anche Piero Calamandrei e Spartaco Lavagnini.
L'unico suo libro pubblicato mentre era in vita è "Socialismo liberale", scritto durante il confino a Lipari, in una situazione di semi-prigionia. Questa opera si pone in una posizione molto distante rispetto ai partiti della sinistra italiana del suo tempo (per i quali Il Capitale di Marx, variamente interpretato, doveva essere letto e seguito in maniera pedissequa).
Indubbiamente è presente l'influsso del laburismo inglese, da lui ben conosciuto. In seguito ai successi elettorali del Partito Laburista, Rosselli era infatti convinto che l'insieme delle regole della democrazia liberale fossero essenziali non solo per raggiungere il socialismo, ma anche per la sua concreta realizzazione (mentre nella tattica leninista queste regole, una volta preso il potere, debbono essere accantonate): pertanto, la sintesi del pensiero rosselliano è: "il liberalismo come metodo, il socialismo come fine".
L'idea di rivoluzione propria della dottrina marxista era fondata sulla concezione della dittatura del proletariato (che, in realtà, già ai tempi di Rosselli si sta traducendo, in Unione Sovietica, nella dittatura del vertice di un solo partito). Essa viene respinta da Rosselli, a favore di una rivoluzione che, come si nota nel programma di GL, è un sistema coerente di riforme strutturali mirate alla costruzione di un sistema socialista che non rinnega, ma anzi esalta, la libertà individuale e associativa. Nella riflessione degli ultimi anni, Rosselli, alla luce dell'esperienza spagnola (difesa dell'organizzazione sociale di Barcellona compiuta dagli anarchici durante la guerra civile) e dell'avanzata del nazismo, radicalizza le sue posizioni libertarie.
Rosselli, influenzato dalle idee di Mazzini e di Carlo Pisacane, propugna il socialismo liberale: il fine è il socialismo, il metodo il liberalismo, un metodo che garantisce la democrazia e l'autogoverno dei cittadini. Il liberalismo deve svolgere una funzione democratica, il "metodo liberale" è il complesso di regole del gioco che tutte le parti in lotta si impegnano a rispettare, regole dirette ad assicurare la pacifica convivenza dei cittadini, delle classi, degli Stati, a contenere le lotte (peraltro desiderabili se limitate). La violenza è giustificabile come risposta ad altra violenza (per questo era giusta la lotta contro il franchismo e sarebbe stata auspicabile in Italia una rivoluzione violenta in risposta al fascismo); il socialismo è una logica conclusione del liberalismo: socialismo significa libertà per tutti. Rosselli ha fiducia che la classe del futuro sarà la classe proletaria, la borghesia deve fare da guida al proletariato: il fine è la libertà per tutte le classi.
«L'opposizione diventava per la prima volta opposizione, minoranza; come minoranza, avrebbe potuto darsi una psicologia virile, d'attacco. Ma aveva troppi ex nelle sue file, era troppo appesantita da uomini che avevano gustato le gioie del potere e della popolarità.»
«Fu questo il miracolismo dell'Aventino. Credere di poter vincere con le armi legali l'avversario che ha già vinto sul terreno della forza. Pregustare le gioie del trionfo mentre si riceve la botta più dura. Evitare tutti i problemi (Piero Gobetti diceva: "l'Aventino ha un mito, il mito della cautela"), sperando che la borghesia dimentichi il '19.»
«Quanto alle masse popolari, che si mostravano nei primi giorni in stato di effervescenza, guai a chi avesse tentato metterle in movimento! Solo i comunisti e le minoranze giovani chiesero lo sciopero generale. Ma le opposizioni non vollero, per non spaventare la borghesia e il sovrano.»
«Infatti Rosselli considerava una barbarie le stragi di anarchici in Catalogna, tra cui l'uccisione di Camillo Berneri, l'anarchico che lo affiancava nella guida della Prima colonna italiana formata da tremila antifascisti, i primi accorsi in Spagna.»
e si ricorda, nel prosieguo, anche la ferma presa di posizione delle Brigate partigiane di Giustizia e Libertà quando Emilio Canzi fu rimosso da comandante unico della XIII zona operante nel piacentino e grazie a questa presa di posizione fu reintegrato dopo un breve arresto. Le Brigate partigiane di Giustizia e Libertà erano in gran parte influenzate dal pensiero di Rosselli.
«Il Labour Party, in base agli elementi che lo compongono può definirsi come una federazione di gruppi economici e di gruppi politici. In realtà è l'organizzazione politica federativa ed associativa del movimento operaio più vecchio e potente del mondo.»
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