Pasquale Panella (Roma, 12 gennaio 1950[1]) è un poeta, scrittore e paroliere italiano.
È noto al grande pubblico per la collaborazione con i cantautori Lucio Battisti, Enzo Carella, Amedeo Minghi, Mango, Zucchero Fornaciari, Riccardo Cocciante e altri, sebbene vanti anche un'ampia produzione letteraria, e per il suo stile surreale, ricco di giochi di parole, doppi sensi e apparente nonsense.[2]
Nato a Roma nel 1950 da Nazzareno, maresciallo dell'aeronautica di Sant'Angelo a Cupolo, e Antonina, originaria di Sorrento. Ha vissuto nel quartiere di Centocelle, si è diplomato alle scuole magistrali e per un brevissimo periodo ha insegnato come maestro elementare (stesso lavoro di sua madre).[3][4] I suoi amici lo chiamano Lino (diminutivo di Pasquale), come il personaggio mitico figlio di Apollo, collegato con le Muse e il mondo della musica.[5]
Come autore di testi ha spesso usato alcuni pseudonimi, anche femminili, come Duchesca" (alter ego autobiografico nel romanzo La corazzata), "Vanera", "Vanda Di Paolo" (nome della moglie) e a volte ha pubblicato non firmandosi affatto. Iniziò l'attività artistica nel teatro d'avanguardia per poi legarsi professionalmente a Enzo Carella per le canzoni dei cui primi album scrisse i testi, come Fosse vero, Malamore, Sfinge e soprattutto Barbara, che giunse seconda al Festival di Sanremo 1979[6].
Nel 1983, con lo pseudonimo di Vanera, iniziò il sodalizio artistico con Lucio Battisti, con cui produsse l'album di Adriano Pappalardo Oh! Era ora; tre anni dopo, nel 1986, scrisse i testi del primo degli ultimi cinque album dell'artista reatino, Don Giovanni[7], visto come lavoro di rottura di Battisti con il suo passato in collaborazione con Mogol degli anni settanta, che lo aveva consacrato come uno dei massimi artisti italiani[7]; i successivi due album, L'apparenza (1988) e La sposa occidentale (1990), furono visti come la prosecuzione naturale dell'opera del duo Battisti-Panella, iniziata con Don Giovanni, caratterizzata dal proposito di dare un taglio netto con gli stilemi del passato e ridefinire un nuovo linguaggio della musica italiana[8]. Parimenti destrutturante del pregresso musicale nazionale fu giudicato Cosa succederà alla ragazza (1992), con costruzioni lessicali mai tentate in precedenza in quanto ritenute inadatte alla metrica e al respiro di una canzone[9]. L'ultimo lavoro con Battisti (prima della morte dell'artista reatino), Hegel (1994), causò un dibattito a latere tra gli intellettuali circa il significato della figura del filosofo tedesco nella società attuale e circa la sua pertinenza nel richiamo in un album di canzoni commerciali; Lucio Colletti sottolineò l'oscurità del richiamo a Hegel, poco noto ai giovani[10], Stefano Zecchi inferì che il nome Hegel fosse stato utilizzato per richiamare concetti esotici a chi lo conosceva poco[10] mentre Tullio Gregory ipotizzò al contrario che Panella e Battisti avessero voluto filtrare la loro narrazione attraverso una figura nota[10]. Più drastico Antimo Negri che lesse altresì l'operazione discografica come un ennesimo «maltrattamento della cultura»[10]. Panella risponde citando indirettamente Oscar Wilde[11] affermando che "i critici non recensiscono che se stessi. La recensione è un prolungamento dell'ufficio stampa e della casa editrice: non serve a nulla!" e che "professori e recensori che hanno aperto bocca per commentare il nostro lavoro non hanno capito nulla: è un manifesto contro la canzone spazzatura e come tale deve essere affrontato."
Negli anni '90, su iniziativa di Aldo Vitali, Panella tenne una rubrica poetico-letteraria sul giornale La Voce, fino a quando fu licenziato dal fondatore Indro Montanelli.[12]
Nel 1998, in occasione della morte di Battisti, ebbe una violenta polemica con Gianni Boncompagni, che aveva espresso rammarico per la fine del suo sodalizio con Mogol, riducendo a uno svilimento la collaborazione del cantante con Panella[13][14][4]. Il lavoro del paroliere fu al tempo duramente criticato anche da Cesare G. Romana.[15]
Panella è noto anche per alcune critiche verso celebri cantautori italiani e internazionali a cui ha contestato la leggerezza "fanciullesca" dei testi; tra questi Fabrizio De André[16], Bob Dylan e Franco Battiato.[14][17]
Battisti a parte, Panella è stato autore di numerosi testi di Amedeo Minghi (che Panella, che si dichiara disinteressato dalla musica leggera in generale, ha definito come uno dei migliori compositori contemporanei), tra i quali Vattene amore in coppia con Mietta (in cui un Panella scherzoso crea il tormentone del "trottolino amoroso du du da da da"), e della stessa Mietta per Canzoni, Dubbi no, Fare l'amore e Baciami adesso, presentate a Sanremo rispettivamente nel 1989, 1991, 2000 e 2008, e per La farfalla, Soli mai, E no (Cosa sei) e Oltre te. Altri artisti per cui ha scritto sono Mango (Giulietta, La rondine), Zucchero Fornaciari (fu, tra le tante, coautore del testo della celebre Blu, accusata di plagio in un processo finito con l'assoluzione degli autori[18]), Anna Oxa (Processo a me stessa, Sanremo 2006), Mina (Amornero in Ti conosco mascherina, 1990), Marcella Bella, Angelo Branduardi (Fou de Love, 1994), Marco Armani, Sergio Cammariere, Grazia Di Michele (Tutto passa in Naturale, 2001), Mino Reitano (La mia canzone), Valeria Rossi e, di nuovo, Enzo Carella (Se non cantassi sarei Nessuno, 1995, Odissea e Ah! Oh! Ye! Na na!, 2007).
Performer oltre che autore, da anni propone spettacoli-recital in cui legge (e interpreta) scritti di Raymond Carver, Chet Baker, Louis-Ferdinand Céline, oltre che testi propri. Per Minimum Fax ha pubblicato il romanzo La corazzata (1997) e la raccolta di microracconti Oggetto d'amore (1998). "Coniglio Editore" ha inoltre pubblicato 88 "lanci poetici" realizzati per la trasmissione televisiva TG2-Mistrà (2005) realizzata da Michele Bovi.
Nel 1999 e nel 2011 ha collaborato con il regista teatrale Claudio Jankowski scrivendo i testi Tragico amoroso e dell'ouverture Don Giovanni, uno e tanti.
Panella è stato anche uno degli ideatori del programma Rai 1 Techetechete' di Michele Bovi, coniandone il titolo.[12].
Tra i lavori più importanti di Pasquale Panella spicca nell'anno 2001 la versione italiana del libretto dello spettacolo di Riccardo Cocciante Notre Dame de Paris, (una "riscrittura" vera e propria più che una traduzione del romanzo originale francese di Victor Hugo). A tal proposito dichiara: "Per me il romanzesco è reale e le musiche di Cocciante che ho ascoltato sono partiture di un musicista scatenato nei sensi, nei gesti e nell'ispirazione che travalica i territori delle canzoni e diventa romanzesco".
Una nuova collaborazione con Riccardo Cocciante è nel 2007 con Giulietta e Romeo, opera popolare tratta da Romeo e Giulietta di Shakespeare, musicata da Cocciante, con i testi tesi tra momenti profondamente metafisici, assonanze e martellanti ripetizioni.
Nel 2011 torna a lavorare per Mango: del suo nuovo album dal titolo La terra degli aquiloni, Panella scrive La sposa, il primo singolo, in onda dal 22 aprile, e altri due brani, Chiamo le cose e Tutto tutto. In seguito lavora ancora con Zucchero nel 2019. Nel 2022 collabora al volume di poesie di Morgan Parole d'aMorgan, scrivendo versi a commento dei testi (60 poesie inviate da Panella come risposta ad altrettanti testi), lavorando con il cantautore per il futuro disco con testi di Panella.[19]
Nel 2023 torna all'attività di paroliere dopo alcuni anni, scrivendo il testo di Barrì per Avincola (in origine una delle liriche di Parole d'aMorgan) e in seguito i testi per Morgan dell'album ...e quindi, insomma, ossia. Nel primo singolo Si, certo l'amore interviene anche lo stesso Panella.
Del 2024 è lo spettacolo Panella legge Yeats con le musiche di Avincola.
Panella scrive anche sulla rivista online Linkiesta.it.[20]
Panella vive dividendosi tra Roma e il beneventano, conducendo esistenza riservata[21]. Sposato, ha un figlio[22], Silvano, autore di narrativa [23], con il quale ha fondato nel 2014 la casa editrice SPedizioni[24].
«Scrivere, al meglio, / è finire di far testo / E il meglio di ogni testo / È immaginarlo: / sostituire la memoria / con una impalcatura ariosa in aria, / che avverrà, che avverrebbe, / ossia con l’antistoria.»
Lo stile di Panella, costituito da immagini frammentarie, versi insoliti, assonanze originali, concetti e giochi di parole (specie particolari limerick nonsense, calembour o doppi sensi), è stato accostato al surrealismo, alla letteratura barocca[2] (arguzia, oscurità del testo, preziosità letteraria, senso della meraviglia e del significante al di là del significato effimero[25]), al minimalismo, al modernismo, e, come accaduto a De Gregori, all'ermetismo, ma anche alle parole in libertà del futurismo, mescolando quotidianità ed elementi filosofici con associazioni libere e flusso di coscienza.
Un tipico esempio è il testo della canzone Le cose che pensano (dall'album Don Giovanni) definita da lui come il manifesto dell'intera produzione con Battisti[14]: «Su un dolce tedio a sdraio / amore ti ignorai / invece costeggiai / i lungomai / M’estasiai. / Ti spensierai / e si spostò / la tua testa estranea / che rotolò. / Cadere la guardai / riflessa tra ghiacciai / sessanta volte che / cacciava fuori / la lingua e t’abbracciai [...] ti smemorai.». Le liriche panelliane sono state oggetto di numerose analisi, sebbene l'autore non abbia mai fornito per scelta la propria interpretazione ("il pittore non spiega il quadro"). Il tema principale dei dischi con Battisti rimane l'amore, ma intriso di spiritualità, filosofia, storia e citazioni esoteriche che solo Battisti e Panella sembrano cogliere.[26] Le cose che pensano è un vero e proprio "manifesto del disamore", dove l'ex innamorato quasi dimentica la storia d'amore appena lasciatasi alle spalle, scrollandosela di dosso senza tanta cura ("ti spensierai").[27] Più che di panpsichismo le cose sono simbolo oggettivo di "altro", o reminiscenze proustiane, filtri, o predilezioni come in Tomasi di Lampedusa[28], metafisica del quotidiano. I surreali testi hanno avuto molti tentativi di esegesi, alla ricerca di significati nascosti, ma spesso Panella ha definito le interpretazioni articolate come "fesserie" e "cose veramente orribili".[14][4][29] Definisce i propri testi come frammenti della propria vita di ogni giorno, di ricordi, di pensieri:
«Sul mio quotidiano, i testi cantati non sono testi cantati. Sono testi scritti. Una volta lo dissi, forse solo a me: sono loro il mio romanzo, la mia biografia. È tutto vero. Ecco perché non capiscono cosa io stia dicendo. La gente non concepisce ciò che è vero. Più ci si avvicina al vero e meno è comprensibile. Non come i cantautori, con le loro stupidaggini più o meno engagé: "La locomotiva..." delle cose da ridere. Oppure le poesiole con le rimucce. Letto Pascoli hai letto tutto. Lui ha risolto la rima meravigliosamente e se vogliamo un po' Carducci. Quello che ho scritto è il mio quotidiano.[4]»
Nell'album Hegel, ultimo realizzato da Battisti, Panella affronta il tema del nichilismo che avvolge l'uomo, che, derubato della sua interiorità, cade vittima dell'alienazione. L'album sposa la visione filosofica di Ernst Jünger, secondo la quale l'uomo può liberarsi del nichilismo solo attraverso le emozioni positive, come l'amicizia, l'arte e l'amore.[30] Nella traccia Estetica, uno dei brani più complessi e raffinati di Battisti, Panella compie un omaggio al filosofo a cui è intitolato il disco, lanciandosi in un'articolata descrizione di una rottura, la quale può essere interpretata come la fine di un amore ma anche come la fine di una collaborazione artistica, forse a indicare la conclusione del suo sodalizio con Battisti.[31]
Spesso nei testi si passa da storie tutto sommato semplici elaborate attraverso squarci descrittivi o canzoni d'amore (Potrebbe essere sera, La sposa occidentale, La metro eccetera, Però il rinoceronte, Per nome) a liriche erotiche solitamente facendo uso di ampie metafore (Barbara, L'apparenza[32], o Fare l'amore), fino a citazioni colte, ricche di onomatopee fuse con la musica elettronica o raffinata con messaggi più o meno aperti sulla contemporaneità (Il diluvio da Don Giovanni: «Straziante d’estri tristi annegherà[33], / la più assetata arsura nel frullìo. / Un ingordo gorgo umido è l’addio. Dopo di noi / non spioverà / Dopo di noi: / il diluvio»). Si arriva fino alla pura sperimentazione linguistica e immaginifica (Così gli dei sarebbero da Cosa succederà alla ragazza[34]) e alla filastrocca (Equivoci amici); con qualche incursione nell'umorismo o nella velata critica artistica e di costume (Hegel[35], Don Giovanni, Tubinga e La moda nel respiro, le ultime due da Hegel: «E chi teme la moda è immerso in essa comunque / E d'essa intriso come un cardo dal gambo reciso [...] Così che quando passa questo eccesso / Ci pare non avere perso nulla»).
Nelle sue interviste ha fatto anche riferimento agli haiku, la poesia zen giapponese, a Ludwig Wittgenstein[36] («su ciò di cui non si è in grado di parlare, si deve tacere») e ai suoi autori preferiti: Ezra Pound, Thomas Stearns Eliot, Louis-Ferdinand Céline (ma anche a James Joyce), rimarcando la diversità del suo stile rispetto a quello della canzone italiana, sebbene, nella sua attività di paroliere, abbia scritto anche testi più "classici", adatti al tipo di interprete.[37][38]:
«"Sono fautore della legge che va contro l'opinione pubblica".[39] Parlo della legge morale, quella tenebrosa, difficile, cattiva, per la quale fai delle cose che non sono lecite. [...] Mi dicono che sono orfico, ermetico, dadaista, ma storicamente non posso esserlo, se lo volessi dovrei andare a cena con Tzara. Mi chiamano così perché non hanno una parola di nuovo conio. [...]
Io non sono in malafede, io non voglio dire, non ho nulla da dire... mi dicono sempre "Il pubblico non capisce". Io il pubblico, quello astrattamente statistico, il dato numerico, non lo voglio, voglio uno alla volta. Il pubblico, invece, si è ridotto a cercare un senso, cioè a voler sapere se l'hanno derubato sul peso. C'è chi dice dice "mi ha derubato perché non capisco". Ma cosa vogliono capire? Che la vita è difficile, che l'amore fa soffrire? Vogliono capire solo quello che sanno già. [...]
Da quello che scrivo io non si ricava un senso, perché non c'è ricavo, non c'è un utile, un guadagno. Io rifiuto la concezione borghese del senso come lucro. Con me gli manca una cosa più importante, in realtà: il disinteresse. Si trova il piacere quando c'è il disinteresse, se si è vogliosi fino all'usura non si ha piacere. Ed anche la canzone, l'arte dovrebbe essere piacere, godimento. C'è chi cerca un senso anche nel piacere? [...] Ma il senso, come loro lo intendono, non esiste. Sono io che non capisco loro. Dicono che scrivo parole in libertà. Ho forse una gabbia che ogni tanto apro per far uscire le parole?»
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