Ospitata all'interno del complesso architettonico, si trova al piano nobile, articolandosi in 28 sale che si estendono nell'ala laterale settentrionale posteriore del complesso architettonico e nella parte laterale settentrionale e nella parte centrale posteriore del corpo di fabbrica principale del palazzo.
Si tratta della "quadreria" dei Granduchi di Toscana: l'allestimento infatti rispetta il gusto dei secoli passati, con i dipinti collocati su più file, selezionati per criteri decorativi, e non per periodo e scuole. Cronologicamente, a parte qualche eccezione, i dipinti coprono soprattutto i secoli XVI e XVII, facendone uno dei musei più importanti in Italia nel suo genere, nonché una tappa obbligata per la conoscenza della storia del collezionismo europeo.
Nel 2013 il circuito museale di Palazzo Pitti, che oltre alla Galleria Palatina, comprende anche la Galleria d'arte moderna, gli Appartamenti monumentali, il Tesoro dei Granduchi e il Museo della Moda e del Costume è stato il tredicesimo sito statale italiano più visitato, con 386.993 visitatori e un introito lordo totale di 1.983.028,75 Euro[1]. Nel 2016 il circuito museale ha fatto registrare 400.626 visitatori[2].
La Galleria è situata in alcuni fra i più bei saloni del piano nobile del palazzo, ricchi di affreschi (soprattutto di Pietro da Cortona) e stucchi. La superba collezione di dipinti è centrata sul periodo del tardo Rinascimento e il barocco, l'epoca d'oro del palazzo stesso, ed è il più importante ed esteso esempio in Italia di "quadreria", dove, a differenza di un allestimento museale moderno, i quadri non sono esposti con criteri sistematici, ma puramente decorativi, coprendo la maggior parte della superficie della parete in schemi simmetrici.
L'allestimento è dunque molto fedele all'allestimento originario voluto dal granduca Pietro Leopoldo tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento[3].In particolare in quel periodo si provvide a sistemare nel palazzo una parte delle opere dell'immenso patrimonio mediceo che non potevano essere tutte esposte agli Uffizi per ragioni di spazio fisico, escludendo, in linea di massima e con le dovute eccezioni, le opere del primo periodo del Rinascimento, fino ai primi del Cinquecento.
La sistemazione a quadreria, esaltata dalle ricche cornici intagliate e dorate, aveva lo scopo di stupire e meravigliare i visitatori dei saloni di rappresentanza. Oltre che dai dipinti, le sale sono arricchite anche da sculture e pezzi di mobilio pregiato, come i tavoli e i cabinet magnificamente intarsiati di pietre dure secondo l'arte del commesso fiorentino, praticata fin dal Seicento dall'Opificio delle Pietre Dure.
A conclusione della "galleria" vera e propria una serie di stanze fa parte degli Appartamenti monumentali, che formavano un tempo un museo a parte.
Il fondo base del museo è composto da circa 500 dipinti, che testimoniano il personale gusto collezionistico di vari componenti della famiglia Medici e che passarono nel 1743 alla città di Firenze per volontà testamentaria dell'ultima erede della dinastia Anna Maria Luisa de' Medici, evitandone la dispersione. A palazzo Pitti erano anche conservate le eccezionali raccolte di Vittoria della Rovere, sposa del granduca Ferdinando II e ultima erede dei duchi di Urbino, delle quali facevano parte un gran numero di tele di Raffaello e Tiziano.
Spesso i quadri a soggetto sacro, nati per abbellire gli altari di varie chiese, vennero acquistati sia dai Medici che dai Lorena in cambio di copie o di opere moderne fatte fare per l'occasione; tuttavia il cambio di collocazione, dalla chiesa al palazzo, comportava spesso una manomissione dei dipinti, con tagli ed aggiunte necessari a uniformare le dimensioni per creare composizioni di fantasiose geometrie sulle pareti. Spesso quadri di epoche ed autori diversi venivano accostate in pendant per il loro tema, o per la composizione delle scene, o più semplicemente per la similarità estetica.
Pietro Leopoldo, come accennato, nel suo programma di razionalizzazione di ogni aspetto della città, divise grosso modo le opere di pittura e scultura (antica e moderna) tra gli Uffizi e Palazzo Pitti, mentre le gemme, le curiosità naturalistiche e scientifiche divennero il nucleo originario del Museo di Storia Naturale.
Notevoli furono le opere spedite dalla Galleria Palatina in Francia durante le spoliazioni napoleoniche.[4]Canova aveva a disposizione una lista di quadri che erano stati spediti al Musee Napoleon, ovvero il Louvre[5]. Egli si occupò poi di rintracciare e riportare in Italia opere principalmente figurative e scultoree.[6] Da notare come numerose opere si persero durante il tragitto in Francia o non vennero mai rintracciate.[7] Le Storie di Giacobbe e di Muzio Scevola di Bonifacio Veronese, il Mosé che attraversa il Nilo di Paolo Veronese e la Sacra famiglia di Annibale Carracci vennero spedite in Francia ma vennero perse durante il trasporto e non raggiunsero mai destinazione. Il Ritratto d'uomo di Bartholomeus van der Helst raggiunse Parigi e venne esposto al Musee Napoleon ma se ne perse poi traccia. Il Ritratto di Fedra Inghirami, la Madonna della Seggiola, il Ritratto del cardinal Bibbiena di Raffaello Sanzio vennero portate al Louvre e successivamente restituite grazie l'opera del Canova, che cercò anche di rimediare offrendo la Venere italica ai fiorentini.
La prima apertura al pubblico della galleria risale al 1833. Nel 2014 la Riforma Franceschini ha unito i musei degli Uffizi e di Palazzo Pitti in un'unica entità museale autonoma. Da allora è in corso un riordino delle collezione, che ha comportato a volte uno scambio di opere tra le due diverse sedi. Ad esempio i ritratti di Agnolo Doni e della moglie Maddalea Strozzi, di Raffaello, sono stati trasferiti agli Uffizi per affiancare il Tondo Doni, mentre a Pitti è ad esempio arrivato il Ritratto di Leone X sempre di Raffaello.
La galleria si trova al primo piano nel braccio sinistro del palazzo, dove si trovano alcune delle sale più belle dell'intero complesso. Dopo il maestoso scalone dell'Ammannati, si arriva alle sale che venivano per lo più usate dal Granduca, sia per la residenza privata, sia per le udienze pubbliche. Il percorso espositivo inizia nel vestibolo e prosegue con alcune sale dedicate alla scultura (interessanti i busti dei granduchi, soprattutto di Cosimo I ritratto come un imperatore romano) e al mobilio antico, come la sala degli Staffieri, la Galleria delle Statue e la sala del Castagnoli, oltre la quale a sinistra inizia la galleria vera e propria. Le sale seguenti prendono il nome dal tema degli affreschi che le decorano sulle volte. Il ciclo è dedicato alla mitologia greco-romana, ma celebra anche la dinastia di casa Medici secondo un preciso e articolato sistema simbolico. In particolare i soggetti mitologici rappresentano degli esempi che alludono al tema della Vita e educazione del Principe, e rappresentano un'opera fondamentale del barocco a Firenze, che produssero profonda influenza sugli artisti locali dal Seicento in poi. Gli affreschi delle prime cinque sale furono realizzati dal più celebre pittore dell'epoca, Pietro da Cortona, mentre le altre sale sono opera di artisti neoclassici della prima metà dell'Ottocento.
Baldassarre Franceschini, detto il Volterrano, fu pittore di corte nel Seicento ed affrescò la sala detta Delle Allegorie, anche se anche i quattro ambienti successivi vengono generalmente indicati con il suo nome. Queste sale, che danno sul maestoso cortile interno dell'Ammannati, non erano usati come galleria originariamente, ma furono adibiti a questo scopo solo nel 1928 quando si resero necessari nuovi spazi per ospitare opere provenienti soprattutto dalla soppressione di monasteri e chiese.
Rientrati nella Sala del Castagnoli, si accede alla Sala della Musica, dalla decorazione neoclassica, detta anche dei Tamburi per via della curiosa forma cilindrica dei mobili. Fu realizzata all'inizio dell'Ottocento unendo due ambienti che collegavano gli appartamenti rispettivi del granduca e della granduchessa. Durante il periodo napoleonico, nel 1813, venne deciso di creare qui un "primo salotto dell'Imperatore", ornato da pitture murali con il Genio di Francia e le battaglie napoleoniche. Nel 1814, con la Restaurazione, la sala decorata per metà fu ristrutturata completamente incaricando Luigi Ademollo di realizzare un affresco sul soffitto con la Gloria di Casa Asburgo. Il fregio a monocromo, che simula efficacemente dei bassorilievi, mostra la Liberazione di Vienna dall'assedio turco nel 1683.
La sala fu destinata quindi agli intrattenimenti musicali, funzione a cui rimandava anche la forma degli arredi.
Nel 1860 i Savoia fecero ritoccare l'affresco aggiungendo la bandiera italiana e trasformando la personificazione dell'Austria in quella dell'Italia, dandole un manto azzurro e la corona sabauda.
La sala successiva era anticamente una loggetta con volta a botte aperta sul cortile e il giardino, tra gli appartamenti del granduca e della granduchessa. Deve il nome con cui è nota all'errata attribuzione degli affreschi della volta, un tempo creduti di Bernardino Poccetti e invece realizzati dopo la sua morte, al tempo di Cosimo II, su progetto del suo allievo Michelangelo Cinganelli, che li dipinse con l'aiuto di Filippo Tarchiani, Matteo Rosselli e Ottavio Vannini (1620-25). La volta è spartita in riquadri e cartelle, con figure allegoriche quali la Fede, la Giustizia e la Fortezza; nelle lunette le allegorie di Firenze (col marzocco) e di Siena (con la lupa). Il tutto è arricchito da grottesche e stucchi.
Fu chiusa nel 1813 e divenne parte della Galleria.
Opere nella Galleria del Poccetti:
Andrea Pozzo, Ritratto del padre gesuita Giovan Pietro Pinamonti
In epoca medicea questa sala faceva parte dell'appartamento privato del Granduca, sebbene destinato a una funzione pubblica, la riunione del Consiglio del Granducato alla presenza del granduca stesso.
Dal 1809 al 1814 fu ridecorata dal senese Giuseppe Collignon con storie di Prometeo sia nel grande riquadro del soffitto che nel fregio a monocromo; agli angoli le Quattro stagioni.
La sala è dedicata ai dipinti più antichi della collezione, del rinascimento fiorentino, con innanzitutto un capolavoro di Filippo Lippi, il Tondo Bartolini (1450 circa), di delicata armonia tipica della maturità dell'artista, e con alcune pitture di Botticelli e della sua bottega.
Il Corridoio delle Colonne era un terrazzo aperto sopra la loggia tra i due cortili interni del palazzo. Fu coperto alla fine del Settecento e ornato dalle due colonne in alabastro che gli hanno dato il nome. Entrato a far parte della Galleria, fu inizialmente decorato da quattro grandi pannelli in commesso fiorentino con le Arti Liberali, Vedute romane e toscane, poi da una serie di ritratti medicei.
Adesso contiene diverse opere di piccolo formato di scuola olandese e fiamminga dei secoli XVII e XVIII, collezionate spesso dalle corti europee per il loro minuto realismo e squisita fattura.
Come le sale successive, al tempo dei Medici si trovavano qui ambienti di servizio, divenuti poi l'appartamento della figlia di Pietro LeopoldoMaria Anna e, in epoca napoleonica, interessato da un progetto mai compiuto di creare stanze di soggiorno per la famiglia di Elisa Baciocchi. La decorazione attuale risale comunque a dopo il rientro di Ferdinando III, che ordinò un'Allegoria della Giustizia ad Antonio Fedi; i fregi a monocromo mostrano scene esemplari di giustizia.
Questa sala ospita soprattutto pittura veneta del XVI secolo, come il Ritratto del Mosti, opera giovanile di Tiziano dove già risplendono i virtuosismi coloristici del grande pittore, o il Ritratto di gentiluomo (1570 circa) di Paolo Veronese.
La sala in epoca medicea era un ambiente di servizio adiacente agli appartamenti dei granduchi, mentre in epoca lorenese era parte degli appartamenti di Maria Anna, figlia di Pietro Leopoldo.
La zona fu interessata da una risistemazione all'epoca di Elisa Baciocchi, col progetto di realizzare una grande sala da pranzo con l'adiacente Sala dei Putti. Dopo la Restaurazione invece Ferdinando III la destinò alla galleria, facendo decorare il soffitto con l'Allegoria di Flora di Antonio Marini.
La quadreria è dedicata prevalentemente alla pittura del Cinquecento.
La sala ha una storia analoga alle precedenti. Fu decorata nel 1830 circa con Putti in volo sul soffitto da Antonio Marini.
Sono qui raccolte soprattutto opere olandesi e fiamminghe, come le Tre Grazie a monocromo (1620-1623 circa) di Rubens, realizzato su tavola con la tecnica del monocromo, cioè solo con il chiaroscuro, o le miniature ingrandite della serie delle Nature morte di fiori e frutta di Rachel Ruysch (1715-1716).
Al tempo dei Medici qui era la camera da letto del granduca. Dal 1775 circa la stanza fece parte dell'appartamento di Maria Teresa d'Asburgo-Lorena e dopo la restaurazione fu destinato, con le vicine sale, a galleria. In tale periodo, dopo il 1814, Ferdinando III incaricò Gaspare Martellini di dipingere sul soffitto il Ritorno di Ulisse a Itaca (allusivo al ritorno del granduca dopo l'esilio nel periodo napoleonico), con un fregio decorato agli angoli dalle allegorie della Fedeltà, della Fortezza, di Ercole e di Apollo. In questa sala si ricorda come l'Ecce Homo del Cigoli fosse stato selezionato per essere mandato a Parigi con le altre opere d'arte durante le spoliazioni napoleoniche.[8]
Spicca una notevole opera di Raffaello, la prima che incontra nel percorso museale, la Madonna dell'Impannata (1514 circa) eseguita durante il soggiorno romano dell'artista. Si trova anche la prima opera della galleria di Andrea del Sarto, la Pala di Gambassi (1527-1528). Interessante anche uno dei rari lavori quattrocenteschi della galleria, la Morte di Lucrezia, opera giovanile di Filippino Lippi che decorava una coppia di cassoni nuziali realizzati forse in collaborazione con Botticelli.
Opere nella Sala di Ulisse:
Bottega del Tintoretto, Ritratto maschile, fine secolo XVI
Questa sala era la stanza del segretario del Granduca. Gli asburgo-Lorena la destinarono poi a galleria. Le pitture della volta sono di Luigi Catani (1819) e raffigurano al centro Giove fanciullo allevato a Creta dalla ninfa Adrastea e dalla capra Amaltea, con la rappresentazione anche dei coribanti che ne coprono i vagiti; negli esagoni ai lati Cibele, Nettuno e Anfitrite, Giunone e Marte.
Tra i capolavori l'Amorino dormiente di Caravaggio, dove il soggetto classico del Cupido addormentato è realizzato con un inconsueto realismo, e la Giuditta con la testa di Oloferne di Cristofano Allori, opera più famosa dell'artista.
Collocata accanto alla camera da letto, in passato era una loggia aperta, poi ristrutturata come "stufa", ovvero bagno del granduca. Conteneva le condutture del sistema di riscaldamento e che fungeva da stanza per la toeletta e per l'abbigliamento.
Dal 1637 fu la volta delle pareti, che vennero affidate a Pietro da Cortona, con il tema delle Quattro età dell'uomo, ideate da Michelangelo Buonarroti il Giovane ispirandosi a Ovidio. L'Età dell'Oro, che allude al felice regno di Ferdinando II de' Medici e alla sua unione con Vittoria della Rovere, e l'Età dell'Argento risalgono al primo soggiorno fiorentino del pittore (1637), mentre le Età del Bronzo e del Ferro furono completate nel 1641. Questi affreschi rappresentano un'opera fondamentale del barocco in città, che diede nuovo impulsa alla scuola pittorica fiorentina.
Il pavimento fu comperto da mattonelle maiolicate della manifattura di Montelupo, con un restauro pressoché integrale a partire dal disegno antico, eseguito ai primi del Novecento dalla Manifattura Cantagalli: al centro spicca il Trionfo della Monarchia. Frammenti del pavimento originario si trovano nel vicino atrio della scalone Del Moro.
In questa zona si trova l'accesso a uno scalone monumentale iniziato da Pasquale Poccianti nel 1831 e interrotti nel 1835, senza essere ripresi. Solo nel 1892 lo scalone fu riprogettato da Luigi del Moro e completato nel 1897.
La sala della Tazza è stata l'ingresso della Galleria dal 1849, quando i visitatori accedevano dalla porta accanto al cancello del Giardino di Boboli, adiacente al Rondò di Bacco. Deve il suo nome alla monumentale vasca ("tazza") in porfido, del II secolo, arrivata a Firenze da Villa Medici. Due colonne dello stesso materiale, che ornano la parete di fondo, furono invece acquistata da Francesco I de' Medici e sistemate originariamente a decorare una fontana nel parco della villa di Pratolino; risalgono alla prima età imperiale.
In epoca medicea si giocava qui al "trucco", una sorta di biliardo, e solo nel 1689Cosimo III de' Medici ne fece una sua stanza privata, dotata di cappella. A quel periodo risaliva l'originaria decorazione di Giuseppe Nicola Nasini con quattro grandissimi dipinti, detti i Novissimi: rappresentavano i quattro momenti ultimi della vita, ossia Morte, Giudizio, Inferno e Paradiso
Nel 1795 il granduca Ferdinando III di Toscana, della dinastia Asburgo-Lorena, fece rimuovere le tele religiose e inglobò la sala nel percorso della galleria, facendola ridecorare a tema mitologico. Tale programma si realizzò solo dopo il suo ritorno dall'esilio napoleonico, nel 1815, affidando l'impresa a Luigi Sabatelli, che vi lavorò dal 1819 al 1825, con l'impiego di aiuti. Si tratta di una rappresentazione degli eventi anteriori alla guerra di Troia (Iliade, Libro XV), con al centro il Concilio degli Dei dove Giove ordina agli altri di non influenzare il risultato della guerra; nelle lunette invece si trovano le varie iniziative di Giunone per distrarre Giove e avversare i Troiani.
La Sala di Saturno segnava anticamente l'inizio dell'appartamento privato del granduca, che qui teneva udienza. La volta fu dipinta nel 1663-65 da Ciro Ferri, il migliore allievo di Pietro da Cortona, che usò i disegni del maestro. Rappresenta la conclusione del ciclo dei Pianeti, con il principe/Ercole ormai vecchio, accompagnato dalla Prudenza e dal Valore, che riceve la corona dalla Fama e dall'Eternità e si avvia poi a salire sul rogo per concludere la sua vita gloriosa; sopra di essi si libera Saturno. Ai quattro angoli altrettanti esempi di saggezza senile, con episodi delle vite di Ciro il Grande, Licurgo, Scipione l'Africano e Silla.
Qui è situato il più consistente nucleo di opere di Raffaello, che permette di ripercorrere diversi periodi e stili della sua attività: dalla Madonna del Granduca (1506 circa) ancora legata alle vicende artistiche di Pietro Perugino e di Leonardo, all'incompiuta Madonna del Baldacchino, fino alle opere della piena maturità stilistica come il Ritratto di Tommaso Inghirami (1510 circa) e la famosissima Madonna della Seggiola (1513-1514 circa) di grande tenerezza e sublime nella stesura della pittura, monumentale e al tempo stesso dolce scena familiare. Completa la eccezionale serie la Visione di Ezechiele, un'opera più tarda del 1518, dalla spiccatissima composizione monumentale, secondo lo stile romano del pittore che tanto influenzerà gli artisti successivi legati alle scuole del classicismo e del barocco.
Una delle più belle sale del palazzo, in origine era destinata al trono del granduca, o sala dell'Udienza. La volta venne decorata da Pietro da Cortona tra il 1642 e il 1644 con un tema consono all'ambiente: Giove che incorona il giovane principe a cui Ercole ha dato la clava, simbolo di potere. La fascia sotto la volta contiene episodi mitologici che alludo al potere regale: la Caduta di Fetonte e la Caduta dei Giganti. Completano la decorazione le lunette con gli dei figli di Giove.
La Sala di Marte era al tempo de' Medici l'anticamera della sala del trono, dove i ciambellani introducevano i nobili al cospetto del granduca. La volta venne affrescata da Pietro da Cortona tra il 1643 e il 1647 con Ercole, simboleggiante il giovane principe, che conquista il potere sconfiggendo i nemici. L'eroe, sconfigge la nave grazie all'aiuto di Marte e, ruotando su se stesso, riceve da Castore e Polluce il gladio della vittoria, da aggiungere al trofeo di armi (panoplia). Segue una rappresentazione della Pace incoronata d'alloro, presso la quale vengono condotti i prigionieri.
In questa sala sono collocati due capolavori di Rubens: le Conseguenze della guerra (1638), un'allegoria grandiosa in sintonia con il tema degli affreschi di Pietro da Cortona sul soffitto, e i Quattro filosofi, di grande intensità. Entrambe le tele sono ricche di citazioni letterarie e filosofiche e vi compaiono spesso figure della mitologia classica.
La sala era anticamente l'anticamera della "nobiltà ordinaria", prima che venisse ricevuta dal sovrano. Sulla volta venne affrescato il Principe mediceo guidato dalla Fama al cospetto di Apollo di Pietro da Cortona, che fornì il progetto completo (anche degli stucchi) e avviò le figure centrali nel 1647, delegando poi in massima parte l'allievo Ciro Ferri, che completò l'incarico tra il 1659 e il 1661. Il tema allude all'educazione del giovane principe, a cui Apollo, aiutato dalle Muse, mostra Ercole che regge il globo celeste, simbolo del peso delle responsabilità del futuro sovrano.
Negli ovali in stucco e nei pennacchi si trovano esempi di grandi sovrani antichi che fecero ricorso alla poesia e alla cultura.
Si trovano qui anche altre importanti opere della scuola veneziana, come il Ritratto di Vincenzo Zeno di Tintoretto, la Ninfa e il satiro di Dosso Dossi (in realtà il titolo tradizionale è incorretto perché si tratta di una scena ispirata dall'Orlando Furioso).
L'Ospitalità di san Giuliano (1612-1618 circa) esemplifica lo stile monumentale del fiorentino Alessandro Allori, mentre la Risurrezione di Tabita del giovane Guercino e la Cleopatra, opera matura di Guido Reni, mostrano la grandiosità della scuola bolognese del Seicento.
In antico questa grande sala era l'anticamera generale dove il pubblico comune aspettava prima di essere ricevuto dal granduca. Nel 1641-42 fu decorata da Pietro da Cortona, prima delle sale della serie di pianeti a cui mise mano, per questo interamente autografa. Nella volta è raffigurato il principe adolescente che viene strappato dalle braccia di Venere da Minerva, che lo consegna al nuovo tutore Ercole. Le otto lunette sono affrescate con storie dell'anticihità legate dal tema del comportamento virtuoso di uomini illustri davanti a bellissime donne. Coevi sono i ricchissimi stucchi, in cui si distinguono i personaggi più illustri di Casa Medici (tondi) e i loro emblemi personali (spicchi dei pennacchi).
Oltre al movimentato affresco sulla volta, qui si conserva una famosa Venere italica di Antonio Canova, che però venne collocata ben dopo che la sala aveva assunto il suo nome. Si tratta di un risarcimento a Firenze per il trasferimento della Venere Medici al Louvre da parte di Napoleone, opera che comunque fu poi restituita.
Sono ben quattro i capolavori di Tiziano: Concerto, opera giovanile, Il Ritratto di Giulio II, copiato da Raffaello (opera alla National Gallery di Londra), ma diverso nei risultati soprattutto legati al magistrale uso del colore tipico di Tiziano, La Bella, dipinto per il duca di Urbino (1536), e il Ritratto di Pietro Aretino, (1545) dove si manifesta appieno la ricchezza cromatica e la complessità stilistica delle opere della maturità del maestro, per esempio con il contrasto tra i rossi della barba e il blu della veste che esalata la figura e da una sfumatura inquietante al personaggio, girato schivamente di profilo.
Non potevano mancare nella sala un rimando a Rubens, maestro ideale di Pietro da Cortona e equivalente fiammingo di Tiziano: due suoi grandiosi e solenni paesaggi, il Ritorno dei contadini dai campi e Ulisse nell'isola dei Feaci. Infine sono degne di nota due grandi marine (Marina del Faro e Marina del Porto) dipinte tra il 1640 e il 1649 dal celebre paesaggista napoletano Salvator Rosa.
La mostra “L'arme e gli amori”, tenutasi nel 2001 alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti, propose un percorso espositivo composto da una vasta produzione figurativa d'ispirazione letteraria realizzata a Firenze o per Firenze tra la fine del Cinquecento e la metà del Seicento. Pittori che, confrontandosi su uno stesso tema, danno prova della varietà della pittura fiorentina del Seicento.
“Il lato nascosto dei ritratti di Agnolo e Maddalena Doni, di Raffaello” (il restauro delle due storie del Diluvio del “Maestro di Serumido”) è una mostra del 2004 curata da Serena Padovani.
“I viaggi devoti alla corte dei Medici. Un altare da viaggio del XVII secolo” è una mostra tenutasi alla Galleria dal 16 maggio al 5 settembre 2005, curata da F. Navarro.
” Un granduca e il suo ritrattista” rievoca la mostra del 1678, voluta da Cosimo III, in onore del ritrattista di corte Justus Sustermans. Con quella mostra, e i ritratti di cortigiani e parenti del granduca che essa conteneva, Cosimo celebrò anche il proprio casato.
Tra il 2006 e il 2007 la Galleria Palatina ha organizzato una mostra sulle vicende artistiche e collezionistiche dell'Elettrice Palatina e, tramite lei, su quelle del padre Cosimo III, il fratello Ferdinando e il marito Johann Wilhelm.
La mostra “Firenze e gli antichi Paesi Bassi 1430-1530” ha offerto, nel 2008, una panoramica delle opere olandesi prensenti a Firenze fra Quattrocento e Cinquecento e i legami con grandi maestri come Jan van Eyck, stretti grazie ai rapporti commerciali e il prestigio delle scuole pittoriche di quelle regioni.
Il tema del Sogno è il protagonista della mostra “Il sogno nel Rinascimento” che ha avuto luogo alla Galleria Palatina nel 2013 e che ha raccolto opere provenienti dai più prestigiosi musei d'Europa.
La galleria palatina ha organizzato una mostra (Novembre 2013-Gennaio 2014) incentrata sull'Allegoria della Pazienza, uno dei dipinti più significativi delle collezioni medicee. L'opera è oggi attribuita a Giorgio Vasari e Gaspar Becerra. La mostra indaga sul motivo del successo dell'opera e della sua importanza per la letteratura del Rinascimento, riannodando le fila delle committenze, delle fonti letterarie e dell'ambiente delle corti italiane.
“Dolci trionfi e finissime piegature" è una mostra del 2015 che ha voluto riproporre il banchetto nuziale tenutosi il 5 ottobre del 1600 a Palazzo Vecchio per il matrimonio di Maria de' Medici e Enrico IV di Francia.
Nel 2015 la Galleria Palatina propose un programma di visite tematiche alle cucine comuni medicee appena restaurate di Palazzo Pitti. L'obbiettivo era quello di approfondire la conoscenza del palazzo e dei suoi aspetti meno noti.
^Galleria Palatina e Appartamenti Reali, la guida ufficiale, Sillabe Edizioni
^Nicole Gotteri, Enlèvements et restitutions des tableaux de la galerie des rois de Sardaigne (1798-1816), p. 459-481, dans Bibliothèque de l'école des chartes, 1995, tome 153, no 2.
^ Marie-Louise Blumer, Catalogue des peintures transportées d'Italie en Francce de 1796 à 1814, collana p. 244-348, dans Bulletin de la Société de l'art français, 1936, fascicule 2.
^Notice des tableaux envoyés d'Italie en France par les commissaires du Gouvernement français, tome 1, p. 387-411, dans Lettres historiques et critiques sur l'Italie de Charles de Brosses, chez Ponthieu, Paris, An VII.
^Notice de tableaux dont plusieurs ont été recueillis à Parme et à Venise : exposés dans le grand salon du Musée Napoléon, ouvert le 27 thermidor an XIII, De l'imprimerie des sciences et des arts, Paris.