Nato e cresciuto a Torre Annunziata da Salvatore (avvocato civilista) e Anna, “una vecchia famiglia di notai, di avvocati, di procuratori del re... un tempo”, come dichiarava lui stesso in un ambiente borghese che poi costituirà lo sfondo dei suoi libri. Trascorse l’infanzia tra il quartiere noto come La Polveriera, a causa del vicino spolettificio, e Trecase, una borgata alle pendici del Vesuvio dove la famiglia possedeva una casa di campagna e dove era solita recarsi in estate. Si laurea in Giurisprudenza e supera anche gli esami di procuratore legale, ma alla carriera di avvocato preferisce quella di giornalista e scrittore.
Nel 1942 viene pubblicato sul mensile del Corriere della Sera, La Lettura, il suo primo racconto, Gli alianti. Prima di partire militare collabora con la Gazzetta del Popolo di Torino e anche durante i lunghi mesi passati sul fronte prosegue il suo percorso di formazione grazie a commilitoni, in seguito divenuti amici di una vita, come gli scrittori Gino Montesanto, Mario Pomilio e il pittore Enrico Accatino.
Alla fine del conflitto riprende l'attività giornalistica collaborando con varie testate, sia quotidiane che periodiche.
Nel 1951 si sposa con Sarah Buonomo una violinista, dalla quale ebbe due figlie Annella (1954) e Caterina (1958), si trasferisce a Napoli, città che ama e in cui vivrà fino alla morte.[1]
Negli anni sessanta è, con Mario Pomilio, Domenico Rea, Luigi Compagnone, Luigi Incoronato, Gian Franco Venè e Leone Pacini Savoj, tra gli animatori della rivista letteraria "Le ragioni narrative"[2] di cui sarà anche direttore. Continuò anche il suo impegno giornalistico come critico cinematografico e letterario e per un decennio ricoprì la carica di vice segretario del Sindacato Nazionale Scrittori.[3]
È stato uno scrittore molto prolifico e apprezzato sia dal pubblico che dalla critica, che ne amò subito lo stile ricco e pastoso. E anche il cinema lo scoprì, con l'adattamento Una spirale di nebbia dell'omonimo romanzo del 1966.
Nei suoi primi libri (La provincia addormentata, Gli eredi del vento e soprattutto Figli difficili) Prisco descrisse la borghesia partenopea, con tutte le sue debolezze e i suoi limiti, fra cui l'incapacità di proporre per Napoli alternative concrete a una situazione di stagnazione sociale e economica che ne impediva lo sviluppo. Successivamente lo scrittore, pur continuando a sviscerare il mondo delle classi medie della sua città, cercherà di inglobare nella sua analisi anche i ceti più popolari, senza però mai introdurre nei suoi romanzi quelle connotazioni macchiettistiche e di folklore che saranno tipiche di gran parte della letteratura napoletana del dopoguerra.
È morto a Napoli il 19 novembre 2003. È sepolto a Vico Equense accanto alla moglie.
L’anno dopo la sua morte, è stato intitolato a lui un Centro Studi in via Stazio, 8 dal 2004 nella sua casa per iniziativa delle figlie e degli amici.[6]
^Queste notizie biografiche trovano riscontro, tra l'altro, nel profilo di Giacinto Spagnoletti: Michele Prisco, in Letteratura italiana, I Contemporanei, Milano, Marzorati, 1974, pp. 1045-1066.
(a cura di) Santino G. Bonsera, Mario Pomilio, Le parole del silenzio di Michele Prisco, con un ricordo di Michele Prisco, Ermes, Potenza 1997; ISBN 88-900215-0-0
Lorenza Rocco Carbone, Incontro con l'autore Michele Prisco, Massa, 2000;
Aurelio Benevento, Michele Prisco: narrativa come testimonianza, A. Guida, 2001;
Arnaldo Zambardi, Borghesia e letteratura: analisi semiosociologica dell'immaginario attraverso l'opera narrativa di Michele Prisco, Bulzoni, 2003;
Appartenere alle parole. Michele Prisco uomo e scrittore, a cura di Simone Gambacorta, Galaad Edizioni, Giulianova (Teramo), 2017 (con interviste a Luca Desiato, Andrea Di Consoli, Giuseppe Lupo, Annella Prisco, Enzo Verrengia e Diego Zandel e con quattro scritti di Prisco sul suo mestiere di narratore).